sabato 11 febbraio 2012

Sofferenza e consolazione...


Noi abbiamo sovente bisogno di una parola di consolazione.
Guardando alla Passione di Gesu’ e considerando il suo comportamento, noi comprendiamo dove sta la consolazione.
Prendiamo per questo in mano il Vangelo quando ci parla della Crocifissione di nostro Signore Gesu’ e poi cerchiamone il commento nelle parole di San Francesco di Sales e, ai nostri giorni, nelle parole del Santo Padre Benedetto XVI.mo.

«Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”» (Mc 15,34).

Cominciamo  ad approfondire il Vangelo seguendo il pensiero di S. Francesco, che,nel  “Tratttato dell’Amor di Dio”, composto per la Visitazione e per le anime che desiderano continuare nel cammino dell’amore, scrive:
“Pensa, ti prego, Teotimo, quanto era dura la vita degli Apostoli; nel corpo per le ferite, nel cuore per le angosce, secondo il mondo, per l'infamia e la prigionia. E in mez­zo a tutto ciò, Dio mio, quale indifferenza! La loro tristezza è piena di gioia, la loro povertà è ricca, le loro morti sono vitali, e i loro disonori onorevoli; ossia sono contenti di essere tristi, contenti di essere poveri, pieni di energia nel vivere tra i pericoli della morte e gloriosi di essere umi­liati, perché quella era la volontà di Dio. E siccome essa era più riconoscibile nelle sofferenze che nelle azioni delle al­tre virtù, pongono al primo posto l'esercizio della pazien­za, dicendo: -Manifestiamoci in tutte le cose come servi di Dio, con molta pazienza nelle tribolazioni, nelle necessita’, nelle angosce; e alla fine, nella castità, nella prudenza, nella clemenza.

Così, il nostro divin Salvatore fu martoriato in modo che non ha paragone nella vita civile, condannato come criminale per lesa maestà divina e umana, percosso, flagel­lato, beffeggiato e tormentato con ignominia straordina­ria: nella vita naturale, morendo tra i più crudeli e atroci tormenti che si possono immaginare; nella vita spirituale, soffrendo tristezze, timori, spaventi, angosce, abbandoni e oppressioni interiori che non hanno mai avuto né avran­no l'eguale. Infatti, benché la parte superiore della sua anima godesse pienamente della gloria eterna, l'amore im­pediva a quella gloria di comunicare le sue delizie sia ai sentimenti, sia all'immaginazione, sia alla ragione inferio­re, lasciando così il cuore completamente esposto alla mer­cé della tristezza e dell'angoscia.
Ezechiele vide il simulacro di una mano prenderlo per i capelli e sollevarlo tra cielo e terra(Ez.8,3c) anche Nostro Signo­re, innalzato sulla croce tra cielo e terra, dava l'impressio­ne di essere sostenuto dalla mano del Padre soltanto per mezzo della suprema punta dello spirito, e, per modo di dire, di un solo capello del suo capo che, toccato dalla dol­ce mano dell'eterno Padre, riceveva una grande abbon­danza di felicità, mentre tutto il resto rimaneva sprofon­dato nella tristezza e nella sofferenza; ecco perché grida: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?.
Si dice che il pesce chiamato lanterna di mare, nel pieno infuriare delle tempeste tiene la sua lingua fuori delle on­de; essa è così brillante, splendente e luminosa che serve da faro e da fiaccola ai nocchieri:; così, in mezzo al mare di tormenti dai quali fu oppresso Nostro Signore, tutte le facoltà della sua anima erano come inghiottite e sepolte nella tormenta di tanta sofferenza, tranne la cima dello spirito che, libera da ogni pena, era lucida e risplendente di gloria e di felicità.
Quanto è felice l'amore che regna nella cima dello spirito dei fedeli, mentre sono sbattuti dai marosi e dalle onde delle tribolazioni interiori.
(S. Francesco di Sales, Trattato dell’amor di Dio, libro IX, cap. 5)

Anche il Santo Padre Benedetto XVI.mo ci ha parlato di questo abbandono nell’oscurita’ e nella sofferenza, di cui Gesu’ in Croce e’ stato soggetto e afferma:
“Ripetendo dalla croce proprio le parole iniziali del Salmo, “Elì, Elì, lemà sabactàni?” – “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46), gridando le parole del Salmo, Gesù prega nel momento dell’ultimo rifiuto degli uomini, nel momento dell’abbandono; prega, però, con il Salmo, nella consapevolezza della presenza di Dio Padre anche in quest’ora in cui sente il dramma umano della morte…..
 E questo avviene anche nel nostro rapporto con il Signore: davanti alle situazioni più difficili e dolorose, quando sembra che Dio non senta, non dobbiamo temere di affidare a Lui tutto il peso che portiamo nel nostro cuore, non dobbiamo avere paura di gridare a Lui la nostra sofferenza, dobbiamo essere convinti che Dio è vicino, anche se apparentemente tace. ….
In questa preghiera di Gesù sono racchiusi l’estrema fiducia e l’abbandono nelle mani di Dio, anche quando sembra assente, anche quando sembra rimanere in silenzio, seguendo un disegno a noi incomprensibile. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 603), leggiamo così: «Nell’amore redentore che sempre lo univa al Padre, Gesù ci ha assunto nella nostra separazione da Dio a causa del peccato al punto da poter dire a nome nostro sulla croce:
 “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”». Il suo è un soffrire in comunione con noi e per noi, che deriva dall’amore e già porta in sé la redenzione, la vittoria dell’amore….
Nel momento estremo, Gesù lascia che il suo cuore esprima il dolore, ma lascia emergere, allo stesso tempo, il senso della presenza del Padre e il consenso al suo disegno di salvezza dell’umanità. 


Anche noi ci troviamo sempre e nuovamente di fronte all’«oggi» della sofferenza, del silenzio di Dio - lo esprimiamo tante volte nella nostra preghiera - ma ci troviamo anche di fronte all’«oggi» della Risurrezione, della risposta di Dio che ha preso su di Sé le nostre sofferenze, per portarle insieme con noi e darci la ferma speranza che saranno vinte (cfr Lett. enc. Spe salvi, 35-40).

E questo avviene anche nel nostro rapporto con il Signore: davanti alle situazioni più difficili e dolorose, quando sembra che Dio non senta, non dobbiamo temere di affidare a Lui tutto il peso che portiamo nel nostro cuore, non dobbiamo avere paura di gridare a Lui la nostra sofferenza, dobbiamo essere convinti che Dio è vicino, anche se apparentemente tace."
E il Santo padre conclude:
“Cari amici, nella preghiera portiamo a Dio le nostre croci quotidiane, nella certezza che Lui è presente e ci ascolta. Il grido di Gesù ci ricorda come nella preghiera dobbiamo superare le barriere del nostro «io» e dei nostri problemi e aprirci alle necessità e alle sofferenze degli altri. La preghiera di Gesù morente sulla Croce ci insegni a pregare con amore per tanti fratelli e sorelle che sentono il peso della vita quotidiana, che vivono momenti difficili, che sono nel dolore, che non hanno una parola di conforto; portiamo tutto questo al cuore di Dio, perché anch’essi possano sentire l’amore di Dio che non ci abbandona mai. Grazie”.


Ed ancora, parlando ai malati afferma: 
" Il momento della sofferenza, nel quale potrebbe sorgere la tentazione di abbandonarsi allo scoraggiamento e alla disperazione, può trasformarsi  in tempo di grazia per rientrare in se stessi e, come il figliol prodigo della parabola, ripensare alla propria vita, riconoscendone errori e fallimenti, sentire la nostalgia dell'abbraccio del Padre e ripercorrere il cammino verso la sua Casa. Egli, nel suo grande amore, sempre e comunque veglia sulla nostra esistenza e ci attende per offrire ad ogni figlio che torna da Lui, il dono della piena riconciliazione e della gioia" assieme all'annuncio che alla fine verra' partecipata anche a noi la definitiva vittoria sul male fisico, morale e spirituale con la forza della sua Passione, Morte e Risurrezione.
(vedi Benedetto XVI.mo, messaggio per la Giornata Mondiale del malato 11 febbraio 2012)





Nei momenti di sconforto  e della sofferenza ricordiamo allora Gesu’ in Croce che ha portato anche le nostre pene e uniamoci al suo abbandono nelle mani del Padre amoroso pur manifestando nella preghiera il nostro dolore e, nello stesso tempo apriamoci a chi soffre come noi o piu’ di noi, pregando per lui.
Dio accogliera’ il nostro abbandono in Lui per consolarci, come Gesu’, a tempo opportuno.