lunedì 4 marzo 2013

Pensieri

AM

Educare.
Educare e' donare in un clima di dialogo come tra familiari, come tra amici. E' donare in un dialogo reciproco in cui predominano le vie della ragione, religione ed amorevolezza. Quest'ultima e' una specie di accoglienza dolce ricca di stima per l'educando: stima che accoglie la persona nella sua realta'; fiducia che, indirizzandosi alla persona ed al suo futuro, da' ad essa speranza e responsabilita'; autorevolezza, che e' fatta di competenza e di un chiaro buon esempio di vita appoggiata sui valori intramontabili e su motivazioni significative.

Condizione fondamentale da parte nell'educando e' l'apertura di se' nella confidenza e riconoscenza verso l'educatore, che si esprime nel dialogo rispettoso e filiale.


PAPÀ SOTTO IL LETTO
Quando ero piccola un padre era per me come la luce nel frigorifero. Ogni casa ne aveva uno, ma nes­suno sapeva realmente cosa facevano sia l'uno che l'altro, dopo che la porta era stata chiusa.
Mio padre usciva di casa ogni mattina ed ogni se­ra; quando tornava, sembrava felice di rivederci. Lui solo era capace di aprire il vasetto dei sottaceti, quan­do gli altri non riuscivano. Era l'unico che non ave­va paura di andare in cantina da solo. Si tagliava fa­cendosi la barba, ma nessuno gli dava il bacino o si impressionava per questo. Quando pioveva, ovviamente, era lui che andava a prendere la macchina e la portava davanti all'ingresso. Se qualcuno era am­malato, lui usciva a comperare le medicine. Metteva
le trappole per i topi, potava le rose in modo che ci si potesse affacciare alla porta d'ingresso senza ri­schiare di pungersi. Quando mi regalarono la mia pri­ma bicicletta, pedalò per chilometri, accanto a me, fin­ché non fui in grado di cavarmela da sola. Avevo pau­ra di tutti gli altri padri, ma non del mio. Una volta gli preparai il tè. Era solo acqua zuccherata, ma lui era seduto su una seggiolina e lo sorbiva dicendo che era squisito.
Ogni volta che giocavo con le bambole, la bam­bola mamma aveva un sacco di cose da fare. Non sa­pevo invece che cosa far fare alla bambola papà, co­si’ gli facevo dire: «Bene, adesso esco e vado a lavo­rare», poi la buttavo sotto il letto.
Quando avevo nove anni, un mattino mio padre non si alzò per andare a lavorare. Andò all'ospedale e morì il giorno dopo. Allora andai in camera mia e cercai la bambola papà sotto il letto. La trovai, la spolverai e la posi sul mio letto.
Mio padre non fece mai nulla... Non immaginavo che la sua scomparsa mi avrebbe fatto tanto male. Ancora oggi non so perché. (Erma Bombek)
Una signora confidò: «E qualche anno che è morto mio padre e ancora sento fortemente il rimorso di non avergli mai detto: "Papà, ti voglio bene"».