venerdì 6 gennaio 2012


PACE.

Se apro le pagine dei gionali che danno le notizie sul mondo, scopro il cancro della discordia, della violenza e delle guerre che insanguinano continumente, paurosamente e da vicino il mondo, la stanza di vita in cui noi siamo.
E allora non posso dimenticare esempi, parole e fatti che al contrario ridonano speranza e sollevano dall'angoscia.


   Un nuovo umanesimo

"Sento anche che ho fame, e il sole sta per tramontare.
 Attraverso lo steccato ed una pallottola mi sibila vicino.
 I russi ci tengono d'oc­chio. Corro e busso alla porta di un'isbà.
 Entro. 
Vi sono dei soldati russi, là. 
Dei prigionieri? No. 
Sono armati. Con la stella rossa sul berretto! 
Io ho in mano il fucile. 
Li guardo impietrito. 
Essi stanno mangiando intorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio di legno da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai sospesi a mezz'aria. 
- Mniè Khocetsia iestj (datemi da mangiare), - dico. 
Vi sono delle donne. Una prende un piatto, lo riempie di latte e di miglio, con un mestolo, dalla zuppiera di tutti, e me lo porge. 
Io faccio un passo avanti, mi metto il fucile a spalle e man­gio. 
Il tempo non esiste più. 
I soldati russi mi guardano. 
Le donne mi guardano. 
I bambini mi guardano. 
Nessuno fiata. 
C'è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. E d'ogni mia boccata. 
- Spa-ziba (grazie), - dico quando ho finito. 
E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto. - Pasausta (prego), - mi risponde con sem­plicità. 
I soldati russi mi guardano uscire senza che si siano mossi. 
Nel vano dell'ingresso vi sono delle arnie. La donna che mi ha dato la minestra è venuta con me per aprirmi la porta e io le chiedo a gesti di darmi un favo di miele per i miei compagni. La donna mi dà il favo e io esco»
...
Il racconto continua:
... 
«Così è successo questo fatto. 
Ora non lo trovo affatto strano, a pensarvi, ma naturale: di quella naturalezza che una volta dev'esserci stata tra gli uomini. 
Dopo la prima sorpresa, tutti i miei gesti furono naturali, non sentivo nessun timore, né alcun desiderio di difendere o di offendere. 
Era una cosa molto semplice. 
Anche i russi erano con me, lo sentivo. 
In quell'isbà si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini un'armonia che non era un armistizio, era qualcosa di molto più del rispetto che gli animali della foresta hanno uno per l'altro. 
Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini. 
...
Chissà dove saranno ora quei soldati, quelle donne, quei bambini. 
Io spero che la guerra li abbia risparmiati tutti. 
Finché saremo vivi ci ricorderemo, tutti quanti era­vamo, come ci siamo comportati. 
I bambini specialmente. 
Se questo è successo una volta potrà tornare a succedere. 
Potrà succedere, voglio dire, a innumerevoli altri uomini e diventare un costume, un modo di vivere».
( Da M. Rigoni Stern, II sergente nella neve, Einaudi, Torino 1953, 108-109.)

«Un'eucaristia laica», (Marco Campedelli)cosi' è stato definito il racconto di Mario Rigoni Stern. 
E a ragione. 
Nel gelo delle steppe russe, nel cuore di una guerra che porterà alla morte migliaia di giovani vite, dentro una ritirata senza speranza, qualcosa di inatteso accade. 
Un uomo bussa. 
Gli viene aperto. 
Ha dei nemici armati di fronte a sé. Chiede da mangiare. Gli viene dato un piatto e del cibo, latte e miglio. L'uomo depone il fucile e mangia, in silenzio. 
Dice grazie. 
Chiede ancora, ma non per sé, per i suoi compa­gni. 
Gli viene dato del miele. Latte e miele, il cibo della terra promessa. 
...
Nel cuore di uno scenario di morte, un uomo prende il cibo, lo mangia, ringrazia e ne dà ai suoi compagni. Attorno a lui uomini, donne, bambi­ni. Tutto è naturale e fa pensare che tutto potrà ancora accadere fino a diventare un costume, un modo di vita. E perché ciò accada - aggiunge l'autore - «ci ricorderemo», «finché saremo vivi ci ricorderemo».



Molti anni prima, dentro il cuore di un complotto orchestrato per farlo morire, Gesù si siede a tavola e vive con i suoi un rito: 
«Prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede». 
Gesù non parla del pane come di una «cosa», ma della sua vita. Riassume la sua esistenza nel gesto del pane donato e del vino distribuito. Egli dice che è vissuto sempre come un dono di Dio accolto, riconoscente e generoso. E anticipa così anche il senso profondo della sua imminente morte violenta: «Nessuno mi toglie la vita, io la do da me stesso» (Gv 10,18).

Questi due racconti ci introducono nel tema cruciale dell'apporto che la fede cristiana può dare all'umanizzazione delle persone, del loro convivere umano, della loro cultura. In una parola: il dono del vangelo per una vita buona.
E' l'educazione a un nuovo uma­nesimo, quell'umanesimo raccolto nel gesto eucaristico di Gesù divenu­to il gesto distintivo della Chiesa e il suo sogno sull'umanità.
Il compito della Chiesa è quello di annunciare questo vangelo. 
Esso infatti  è «buona notizia», manifesta tutta la sua capacità di entrare nella vita umana, di sanarla e di salvarla. Di renderla buona, di portare la Pace, quella vera, quella buona, che dura tra gli uomini e si apre all'infinito ed all'eterno.

È questo l'orizzonte e l'obiettivo degli orientamenti del Vangelo.
La tradizione più antica e più genuina della fede cristiana ha sem­pre offerto alla cultura, e in particolare alle nuove generazioni, un importante contributo educativo di umanizzazione, un vangelo per la vita buona.
I Vangeli ci dicono che Dio e' entrato nella nostra stanza, il mondo; e che sta in mezzo a noi con la sua umanita' risorta. E  possiamo appoggiarci a Lui che ci creo' e ci ricrea. Abbiamo allora la speranza affidabile, perche' Lui ha impegnato se' stesso per portarci alla pienezza della vita. 
Allora, cio' che ci sta davanti non e' la morte, non e' la fine, ma la vita piena, i cieli nuovi e la terra nuova. Possiamo allora vivere responsabilmente, preparando il futuro di Dio e facendo di questa stanza, di questa terra, una casa di figli e fratelli.
Nella Pace vera.
. (Elaborazione da Enzo Biemmi, Il secondo annuncio,EDB,2011,pp.78-80).