Educare.
Educare e' donare in un clima di dialogo come tra familiari, come tra amici. E' donare in un dialogo reciproco in cui predominano le vie della ragione, religione ed amorevolezza. Quest'ultima e' una specie di accoglienza dolce ricca di stima per l'educando: stima che accoglie la persona nella sua realta'; fiducia che, indirizzandosi alla persona ed al suo futuro, da' ad essa speranza e responsabilita'; autorevolezza, che e' fatta di competenza e di un chiaro buon esempio di vita appoggiata sui valori intramontabili e su motivazioni significative.
Condizione fondamentale da parte nell'educando e' l'apertura di se' nella confidenza e riconoscenza verso l'educatore, che si esprime nel dialogo rispettoso e filiale.
PAPÀ SOTTO
IL LETTO
Quando ero
piccola un padre era per me come la luce nel frigorifero. Ogni casa ne aveva
uno, ma nessuno sapeva realmente cosa facevano sia l'uno che l'altro, dopo che
la porta era stata chiusa.
Mio padre usciva di casa ogni mattina ed ogni sera;
quando tornava, sembrava felice di rivederci. Lui solo era capace di aprire il
vasetto dei sottaceti, quando gli altri non riuscivano. Era l'unico che non
aveva paura di andare in cantina da solo. Si tagliava facendosi la
barba, ma nessuno gli dava il bacino o si impressionava per questo. Quando
pioveva, ovviamente, era lui che andava a prendere la macchina e la portava
davanti all'ingresso. Se qualcuno era ammalato, lui usciva a comperare le
medicine. Metteva
le
trappole per i topi, potava le rose in modo che ci si potesse affacciare alla
porta d'ingresso senza rischiare di pungersi. Quando mi regalarono la mia prima
bicicletta, pedalò per chilometri, accanto a me, finché non fui in grado di cavarmela
da sola. Avevo paura di tutti gli altri
padri, ma non del mio. Una volta gli preparai il tè. Era solo acqua zuccherata,
ma lui era seduto su una seggiolina e lo sorbiva dicendo che era squisito.
Ogni volta
che giocavo con le bambole, la bambola mamma aveva un sacco di cose da fare.
Non sapevo invece che cosa far fare alla bambola papà, cosi’ gli facevo dire:
«Bene, adesso esco e vado a lavorare», poi la buttavo sotto il letto.
Quando
avevo nove anni, un mattino mio padre non si alzò per andare a lavorare. Andò
all'ospedale e morì il giorno dopo. Allora andai in camera mia e cercai la
bambola papà sotto il letto. La trovai, la spolverai e la posi sul mio letto.
Mio padre non fece mai nulla... Non immaginavo che la
sua scomparsa mi avrebbe fatto tanto male. Ancora oggi non so perché. (Erma Bombek)
Una signora confidò: «E qualche
anno che è morto mio padre e ancora sento fortemente il rimorso di non avergli
mai detto: "Papà, ti voglio bene"».