poco conosciuto
e confratello Salesiano coadiutore.
Per non dimenticare e guardare a un futuro migliore, sempre migliore, sostenuti dalla speranza cristiana
„Il mondo non ha bisogno di maestri,
quanto piuttosto di
testimoni!”(Paolo VI)
Stefano Sandor sdb
Salesiano coadiutore
Martire e
Beato
Rielaborazione
del testo di
Don Pierluigi Cameroni: „Stefano Sandor. Martire del
Vangelo della gioia”
Ed. Don Bosco Kiadò, 2013.
Direttore editoriale
Flavio Depaula
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Rielaborazione di D. Sergio Dall’Antonia SDB
Saleziani, Fondazione Don Bosco, Bacău
Str, Tazlăului nr. 9 Bacău România
Tel.: 0234 / 582.330
Capitolo 1
•
Stefano Sandor tra i martiri.
Dopo la seconda guerra mondiale, nel periodo del
comunismo attuato con violenza e sostenuto dal potere bolscevico, apparve una
grande schiera di martiri. Furono persone di ogni ceto sociale, le quali
nell’Est dell’Europa, nella zona dei Balcani, in molti stati come in Romania,
in Ungheria, Polonia, ex Iugoslavia, ecc.…versarono il proprio sangue a causa
della fede. Tra questi martiri ricordiamo Stefano Sandor giovane salesiano coadiutore.
Egli fu vittima della repressione contro la religione, che scaturì nel tempo
del regime comunista in Ungheria e che fu realizzata in un modo chiaramente duro e sanguinoso tra
gli anni 1948-1963..
Monumento in onore delle
vittime del Comunismo ed immagine del beato Stefano Sandor,
a Budapest-Răkospalota.
. Ma chi
era Stefano Sandor?...
Istvan (Stefano) Sandor nacque a Szolnok, città
dell’Ungheria a cento chilometri dal sud est di Budapest, il 26 ottobre 1914.
La chiesa parrocchiale di Szolnok (Ungheria).
Primogenito dei coniugi Stefan Sandor e Maria Fekete. I suoi fratelli si chiamavano Jànos e Làszlò.
Stefano era il più grande dei tre.
Suo padre lavorava come meccanico-calderaio in un grande cantiere
di costruzioni meccaniche delle Ferrovie statali. La sua mamma era casalinga.
Il papà e la mamma diedero ai loro figli un’educazione
profondamente religiosa.
La famiglia Sandor; Stefano è quello tra i genitori.
Stefano, frequentate le classi primarie fino all’ottava, s’iscrisse
e frequentò le quattro classi dell’Istituto tecnico metallurgico nella sua
città natale.
Già da piccolo era stimato dai suoi compagni: allegro, generoso,
gentile, sorridente e amabile; era gradito a tutti. Benché fosse piccolo di
statura, gli piaceva molto il gioco del calcio. I suoi compagni del vicinato gradivano
radunarsi insieme a lui ed egli li organizzava per i giochi senza far pesare la
sua autorevolezza. Quando erano molto numerosi, s’impegnava ad arbitrare per aiutarli
a giocare con rispetto reciproco, secondo il regolamento sportivo.
Quanto ai suoi fratelli, Jànos e Làslò, li aiutava a
studiare ed anche
a pregare: in questo era il primo a dare il buon esempio.
E così, in famiglia, come in un santuario domestico, Stefano dirigeva la
preghiera sia prima, sia dopo la mensa come anche di sera. Fin da piccolo,
aiutava la mamma nelle faccende domestiche. Verso i parenti e i nonni aveva un
grande rispetto affettuoso.
Qualora i suoi fratelli avessero fatto qualcosa di
spiacevole, lui, imitando San Domenico Savio, cercava di coprire le loro
piccole marachelle, oppure accettava al posto loro il castigo meritato.
Ancor bimbo, si rallegrava di poter partecipare agli
incontri dei Piccoli paggi del Cuore di Gesù ed ogni giorno si recava alla
Santa Messa per fare il chierichetto nella chiesa dei Francescani,
ove, regolarmente, si accostava al Sacramento della Penitenza e faceva la Santa
Comunione.
Quando ricevette la Cresima, l’undici maggio 1925, volle
aggiungere al suo nome di Stefano quello di Pietro, il santo martire da lui
amato e considerato suo modello di vita, volendone imitare l’esempio di saldezza nella fede e nell’ardore
apostolico. Chiese inoltre l’iscrizione all’Associazione del Santissimo Nome di
Gesù (CRED), nella sezione giovane.
Stefano quando era studente |
Conoscendo bene i Francescani, e avendo fiducia in loro
quali padri spirituali zelanti, volle esser della loro Famiglia, cingendo il
cordone del Povero Francesco come terziario francescano.
Più tardi, affascinato dalla spiritualità di San Giovanni
Bosco e dal suo metodo pedagogico e pastorale orientato alla salvezza integrale
dei giovani, si decise di lasciare il lavoro assunto nel settore della
metallurgia per entrare come aspirante in un Istituto salesiano. Voleva il
consenso dei genitori, ma quelli sul momento non furono d’accordo e non
volevano cambiare idea. Docile, come sempre, Stefano piegò il capo e rimase a
casa, sicuro che il Signore gli avrebbe preparato una strada favorevole per
realizzare il suo sogno a tempo debito. Cominciò così a lavorare in fabbrica
prima come tornitore qualificato e poi come fonditore di rame; alla fine trovò
lavoro nel Cantiere delle Ferrovie.
Nel frattempo
però, custodendo il suo desiderio di farsi salesiano, si teneva in relazione
epistolare con il Direttore della casa salesiana di Budapest- Răkospalota.
Casa provinciale di Budapest
–Răkospalota.
Nella sua relazione epistolare la
risposta del Direttore alle sue lettere non giungeva, però, all’indirizzo di
casa, dai suoi genitori, per non inquietarli, infatti, essi erano ancora
contrari a quella sua scelta vocazionale. La risposta arrivava invece al
Monastero dei Francescani. Lì si riceveva la sua corrispondenza e gliela si
consegnava. Ancora lì, padre Policarpo Lazlo’ parroco, padre Cazimir Kollăr vicario
parrocchiale e il teologo Mihail Vaszari, segretario del Vescovo, in modo cortese,
con dignità e con serietà, si prestava generosamente a risolvere le difficoltà
che erano sorte tra quel giovane e i suoi genitori. Fu così che, con il tempo, attraverso
questi intermediari, Stefano riuscì a ottenere il benestare dei genitori alla
sua scelta vocazionale: fu nel mese di febbraio del 1936. Fu allora che
Stefano, con incontenibile gioia nell’animo, poté varcare la soglia della
Famiglia Salesiana. I Salesiani lo ricevettero nella casa salesiana di
Budapest, il Clarisseum.
Fu lì che, in due anni di
apprendimento, nella scuola tipografica Don Bosco, poté frequentare i corsi di
scuola tecnica tipografica e vivere il tempo dell’aspirandato in due periodi.
Nel primo periodo della prova, da febbraio fino al mese di maggio, mentre
lavorava come apprendista nella tipografia “Don Bosco”, rivelò le sue doti di
volontà, serietà, impegno, senso di religiosità e spirito apostolico; si rese
pure d’impareggiabile aiuto al salesiano responsabile della sacrestia. Svolse
infine la sua attività, con instancabile laboriosità, nell’Oratorio domenicale.
Passati quei tre mesi, in maggio,
fece domanda di accedere al Noviziato; ma la sua domanda fu respinta, perché il
tempo richiesto di preparazione al Noviziato non era terminato. Era inoltre necessario
che completasse la sua preparazione tecnica di tipografo. Il giovane Stefano,
di fronte a quel diniego non si sgomentò, ma con serenità angelica accettò la
decisione e continuò la prescritta formazione. Iniziò così il suo secondo
periodo di aspirandato.
Nel mese di
marzo del 1938, quando aveva terminato il corso di tipografo ed era divenuto
operaio qualificato, rinnovò la domanda per il Noviziato, che fu finalmente
accettata. Sandor entrò con vivo entusiasmo in Noviziato.
Mezonyarad - Noviziato salesiano
Un suo compagno, novizio come lui, Màtyàs
Székely, diceva: “ In Noviziato, si può affermare
che Stefano pregasse continuamente. La sua persona, poi, rivelava un carattere
maturo, cordiale, accogliente, sicché si faceva amici tutti”.
Quello stesso compagno asseriva che
a Stefano fu affidato l’incarico dell’infermeria. Narrò anche che allora capitò
un episodio curioso, segno del buon
umore di Sandor.
Un giorno un loro compagno si era procurato una
lussazione che allora si trattava con crusca surriscaldata da mettere sopra la
parte malata. Tutto sembrò andar bene, sennonché la crusca prese fuoco. Stefano
allora celiò dicendo:
“E adesso dobbiamo chiamare i pompieri!”.
Non terminarono tuttavia gli impedimenti per Stefano.
Difatti, cominciato il Noviziato da poco tempo, fu costretto ad interromperlo,
perché chiamato alle armi.
Era un altro ostacolo al suo processo di formazione per
divenire salesiano…Stefano, tuttavia chinò il capo e partì per il servizio
militare. Questo contrattempo non eliminò il suo ardente desiderio per la vita
religiosa tra i Salesiani sicché pur essendo un soldato, continuò tuttavia la
sua vita spirituale e la sua attività apostolica con convinzione, deciso di
impegnarsi nell’avventura che aveva scelto: seguire Cristo con lo stile di vita
di Don Bosco.
Proprio per questo, continuò il suo legame epistolare con
l’Ispettore dei Salesiani e con il Maestro di Noviziato; ed i giorni di libera
uscita decise di passarli in una casa salesiana, il Clarisseum. Se riceveva del
denaro come salario militare, com’è di regola per i Salesiani, prontamente li
dava al Superiore; era il segno di una scelta precisa. Questo tempo di vita
militare fu così per lui un tempo di prova come altri momenti di vita che avevano
marcato la storia della sua formazione vocazionale: fu, infatti, un cozzare con
un ambiente spesso opposto alla dignità dell’uomo e del cristiano, come lui
stesso testimonierà. Fu un tempo però che solidificò le decisioni di quel
giovane, che voleva seguire Cristo ed essere fedele alla scelta di Dio sopra di
tutto: costi quel che costi. Sinceramente non si potrebbe trovare un tempo di
discernimento più duro ed esigente di quello da lui provato e affrontato in
trincea nel tempo della vita militare.
Visse quei giorni con la nostalgia e il desiderio della
Casa salesiana.
Scriveva in una lettera all’Ispettore salesiano Janos
Antal:
“ Mi sforzo di mantenermi buono anche qui, ora e mi
astengo da ogni male, deciso a non cadere in nessuna malvagità. Prego per
essere presto liberato da questo modo di vivere, facendomi forza per rimanere
un figlio fedele di Don Bosco e assolvere le mie promesse fatte all’inizio
della mia vita salesiana”.
Ricevuto il congedo definitivo, nel 1939, entrò di nuovo
in Noviziato per completarlo sotto la direzione spirituale di Padre Bela Bali; e
poté finirlo con la prima professione triennale. Era l’8 settembre 1940.
Da quel giorno, visse un’intensa e filiale devozione a
Maria Madre di Dio, devozione che imparò alla scuola della sua mamma e che
trova una sua manifestazione assai significativa in quel giorno dell’ 8
settembre, festa della Nascita della Madre di Dio e giorno della sua prima
Professione; così scrisse infatti in una lettera indirizzata ai suoi genitori:
“L’otto settembre, con la grazia di Dio e con la
protezione della Santa vergine Maria, mi sono deciso di amare e servire Dio.
Nella festa della Vergine Madre di Dio ho fatto il mio sposalizio con Gesù; e
Gli ho promesso con i tre voti di essere Suo, di non slegarmi mai da Lui e di
perseverare con fedeltà accanto a Lui fino alla morte”.
Parole che svelano la sua profonda maturità spirituale e che
danno la sensazione di mostrare già fin da allora quale sarà la conclusione di
quella sua Professione religiosa, che in verità firmerà con il suo sangue(1).
(1) Così scriveva il Rettor
Maggiore dei Salesiani, Don Pasqual Chavez Villanueva, in una lettera alla
Superiora generale delle Suore di Maria Ausiliatrice.).
Sandor nella sua attività di salesiano
Destinato dai Superiori per obbedienza alla casa di
Budapest Clarisseum, si dedicò, anima e corpo a un triplice incarico: fu tipografo-insegnante
nei corsi di tipografia, incaricato del servizio nel Santuario e animatore in
Oratorio.
Assieme ai chierichetti
davanti alla casa ispettoriale.
In Ungheria, molto tempo prima, erano state organizzate
le prime associazioni dei giovani Operai cattolici (KIOE) esse avevano come
protettore San Giovanni Bosco.
Fu normale allora che i Salesiani si prendessero generosa
cura di organizzarle anche nei loro istituti.
Al Clarisseum, Sandor, come laico consacrato, fu la
persona più ardente e instancabile nell’organizzare queste associazioni. Il suo
gruppo era il migliore e modello agli altri gruppi. Seguendo la spiritualità di
Don Bosco, Stefano promuoveva, in quel gruppo, sia il Catechismo, sia le
meditazioni religiose, sia le conferenze apologetiche o di argomento sociale, sia
le ore di adorazione, le novene, ed anche le gite in forma di pellegrinaggio.
Organizzava inoltre attività piacevoli e sportive: il tutto in un clima di sana
allegria. I giovani che venivano all’Oratorio s’inserivano con piacere nel
gruppo di Stefano e non erano pochi!...E poi..., non si volevano più separare da quel gruppo nel quale c’era quel loro caro
amico.
Ma… ecco che Stefano venne di nuovo chiamato alle armi.
Era l’anno 1942 quando fu richiamato ancora una volta al servizio
militare. Fu inviato in Russia sul fronte orientale presso il fiume Don: era caporale incaricato del Servizio radiotelegrafico.
Fu allora che ricevette alcune decorazioni per le
prestazioni eccezionali portate a compimento e inoltre una medaglia d’argento
per il suo eroismo militare.
Onorificenze delle quali egli non
parlò mai. La fonte di tale notizia, infatti, fu solo il fratello minore ,Jànos,
anch’egli militare, con il quale ebbe un incontro sulla sponda del fiume
Don.
La trincea era per lui un luogo di apostolato, quasi un
Oratorio domenicale, cui si dedicava con entusiasmo alla maniera salesiana,
dando anche coraggio ai suoi compagni militari. Voleva bene a ciascun soldato
ed era riamato da loro con cordialità. Ogni giorno condivideva il suo cibo con
qualcuno di loro. Se occasionalmente uno di loro cadeva sul campo di battaglia,
egli si dava d’attorno per raccogliere i suoi documenti, in vista di
consegnarli ai suoi parenti; informava quindi i genitori del defunto con
amabilità, volendo consolarli. Si preoccupava di scrivere qualcosa su di lui,
talora in modo prolisso, quando era opportuno per alleviare la grande
sofferenza dei genitori; ma questo faceva con delicatezza…Su quei fogli
scriveva gli atti di coraggio ed eroismo del defunto.
Nel 1943, ottenuto il congedo di un mese, fece ritorno
all’istituto Clarisseum a Budapest e lì chiese di poter rinnovare i voti.
I suoi Superiori salesiani, basandosi sulla sua
eccezionale maturità, accettarono la sua domanda e gli proposero di fare i voti
perpetui…Stefano si affrettò allora alla casa di formazione Santa Croce per
fare gli Esercizi spirituali assieme ai suoi Confratelli che stimava assai, ma
non si decise a fare i voti perpetui. Il 16 agosto 19 43, infatti, rinnovò i voti di vita
consacrata come Salesiano per tre anni. Ritornò quindi in prima linea, al
fronte.
Stefano Sandor agli Esercizi spirituali per Coadiutori salesiani a Pélifòldszentkereszt
Il 10 settembre 1949.
Lui è il primo della fila, sopra a sinistra.
Nel 1944 fu di nuovo in riposo a causa di una ferita sul
campo di battaglia.(1). Riabilitatosi in salute, ritornò nell’esercito, in
autunno.
Alla fine dell’anno 1944, la brigata cui lui apparteneva
si ritirò verso Occidente, attraversando la regione della Slovacchia. Fu allora che fu fatto prigioniero da parte
dell’armata americana e quindi deportato in Germania.
Di lì, tornò in Patria nell’anno 1945, era estate.(2)
Dopo quell’esperienza militare, Stefano raccontava con le
lacrime agli occhi come molti suoi compagni d’arme, padri di famiglia, colpiti,
morirono in trincea, accanto a lui. Si meravigliava di se’ dicendo che non
riusciva a capire perché il Signore l’avesse salvato dalla morte, e solo proprio
lui!
“Probabilmente – diceva accennando a un debole sorriso – perché
il Signore mi ha riservato per un’altra morte!…”. (3)
(1)Testimonianza di Padre Janos Szoke.
(2) Questo
affermava Padre Làszlò Adam.
(3) Così
riferiva Padre Janos Szoke.
Capitolo 2
• L’opera
di ricostruzione.
1945.
Il mondo e l’ambiente sociale erano ormai cambiati del
tutto così inaspettatamente!
La guerra aveva prodotto delle conseguenze impreviste e
dannose. C’era ovunque distruzione, persone dai volti intristiti, sofferenti,
dubbiose; c’era pure mancanza di moralità. La vita doveva esser ripresa,
riiniziata, si doveva ormai certamente ricominciare da capo!
E così fu che i Salesiani in Ungheria furono costretti a riprendere
ancor una volta la loro attività dagli inizi. I loro pensieri erano rivolti con
grande fiducia verso Dio Provvidenza e al soccorso di Maria, Madre di Dio e
Aiuto dei Cristiani, di cui avevano già sperimentato l’aiuto al tempo dell’assedio
delle armate nemiche.
Si diede inizio
alla ricostruzione.
Stando così le cose, Sandor si pose con tutte le forze al servizio della
ricostruzione materiale e spirituale dei giovani, con il desiderio di riproporre
ed attualizzare i valori morali e spirituali nella società decaduta. In
particolare si preoccupò dei giovani più poveri radunandoli, educandoli ad
essere buoni cristiani e dando loro una formazione professionale in vista del
mestiere da svolgere.
La tipografia Don Bosco a Budapest-Ràkospalota.
Era sì maestro di tipografia, ma anche formatore della
persona per la vita.
Con la sua pietà e unione con Dio egli arricchiva
spiritualmente la sua attività di tipografo e di educatore, suscitando tra quei
suoi giovani apprendisti sorpresa, ma anche apprezzamento e rispetto.
In una determinata circostanza non mancò di dimostrare il
suo spirito di iniziativa e di coraggio. Un giovane, volendo salire sul tram
che passava presso la casa salesiana, sbagliò il passo e cadde sotto il
veicolo, che si fermò, ma troppo tardi. Una ruota ferì profondamente il giovane
a una coscia. Si formò allora lì un folto gruppo di persone, che volevano
rendersi conto di quanto era successo; ma nessuno faceva niente e il povero
infelice stava per dissanguarsi. In quel momento, si aprì la porta della casa dei salesiani
e Pista”- così chiamavano Stefano con un soprannome - accorse, reggendo sotto il
braccio una portantina pieghevole. Posta la giacca per terra, s’infilò sotto il
tram e, con prudenza, trasse fuori quel giovane; poi, strinse la coscia
sanguinante del malcapitato con la sua cinghia e lo pose sulla barella. In quel
momento giungeva l’ambulanza delle urgenze. La gente applaudì con entusiasmo
Sandor, che, rosso in volto, era pieno di gioia per aver salvato dalla morte
quel giovane ferito.
. Sandor educatore salesiano
Sapeva che l’Oratorio salesiano era nato da un catechismo
di Don Bosco e viveva questa realtà impegnandosi nel fare scuola di catechismo.
Lo insegnava in maniera concreta, con degli esempi. Completava il suo discorso
con i giovani servendosi degli episodi della sua vita militare vissuta in tempo
di guerra sul fronte russo. Episodi reali, di cui i giovani non potevano
dubitare.
Era fermamente convinto che i giovani non avessero bisogno solo di
insegnamento professionale per un mestiere, ma anche di formazione spirituale.
E i giovani gli si avvicinavano, incantati e rispettosi, attratti dalla sua
bontà, anche se non lasciava mai da parte la disciplina sicché anche la sua semplice presenza induceva
all’obbedienza ed al rispetto.
Un giorno, un
giovane salesiano disse:
“ Sono meravigliato di te perché’ il tuo gruppo di
giovani è il più disciplinato di tutto l’Istituto”.
Ed egli rispose:
“Mio caro, se i ragazzi capiscono che tu vuoi loro bene,
anche loro te ne vogliono”.
La sua autorevolezza di educatore e insegnante si nutriva
al carisma di Don Bosco; il suo stile di approccio nell’Oratorio era pieno di
bontà e attenzioni verso i giovani.
Era un animatore instancabile: a scuola, nel tempo della
pausa tra le lezioni, faceva giocare; abile negli sport, attirava a se’ la
simpatia dei giovani.
Seguiva abitualmente nella formazione circa sessanta tra
giovani e studenti.
Il suo esempio favoriva lo spuntare tra essi del
desiderio di seguire la vita salesiana.
Stefano anche nel lavoro era esemplare e questo per la
precisione, l’accuratezza ma anche per un inconfondibile senso di religiosità,
di fede e di carità con il quale lo arricchiva.
La formazione, che egli donava, s’ispirava al sistema
preventivo salesiano:
ragionevolezza, religiosità e affabilità amorevole. Il
suo modo di educare con fede profonda, arricchita dalla speranza e dall’amore
evidente, gli procurava con il grande ascendente sui giovani anche un notevole
successo.
Con questo stile di educatore e di formatore egli continuò
la sua opera dopo la guerra in vista sia della ricostruzione materiale
dell’ambiente in cui viveva, sia del ricupero
dei valori sociali e cristiani nella società, soprattutto tra i giovani.
Proprio per questo scopo, come educatore e formatore a
seguito del Buon Pastore, s’impegnò a radunare di nuovo attorno a se’ i giovani,
soprattutto quelli conosciuti nel passato.
Ma…dove poterli radunare? …
Dovunque fosse possibile! all’aria aperta o all’interno
di sale sia pure senza finestre e pericolanti: lì organizzava gli incontri
settimanali, una serie di lezioni, approfondimenti morali,...
Erano tempi nuovi, vi erano problemi nuovi e si
richiedevano metodi nuovi; e quel vero apostolo dei giovani non si trasse
indietro.
Imparava per proprio conto, annotava, faceva schemi,
ricavando le conoscenze da quelli che erano più istruiti di lui. Impastando
quelle nozioni con le sue conoscenze e filtrandole con il suo amore alla verità,
le faceva proprie; dopodiché’ le insegnava innestandole nell’animo e nella mente
dei suoi giovani allievi o amici ascoltatori.
Nonostante la propaganda dei comunisti, il numero di quel
gruppo cresceva e, tra loro, si era attuato un cuore solo e uno spirito solo.
Se Stefano si occupava dei giovani senza sosta, da vero
salesiano, c’è da notare tuttavia che non lo faceva a danno dei suoi doveri di
tipografo e di sacrestano.
Il 24 luglio 1946, dopo alcuni giorni di ritiro
spirituale, nella letizia del suo cuore di salesiano, Stefano si unì per tutta
la vita alla Famiglia di Don Bosco (ai Salesiani), con i voti perpetui.
Nella domanda di ammissione ai voti egli scriveva che ”sentiva
dentro di se’ gli stessi sentimenti di affetto e di ringraziamento, quali aveva
avuto alla sua vestizione di religioso, quando ricevette la medaglia di
coadiutore salesiano”.
Quella scelta e quei sentimenti si rinnovavano in lui; sicché,
“deposto l’uomo vecchio con il suo modo di operare, assumeva la nuova umanità, quella
realizzata da Dio nella santità e si rivestiva per sempre di Cristo nella modalità
del carisma di Don Bosco”.
In quella circostanza egli s’iscrisse e frequentò i corsi
di perfezionamento professionale. In autunno dell’anno 1948 sostenne l’esame d’insegnante
tipografo, raggiungendone la qualifica con ottimi risultati.
Nell’insegnamento
Era assai rispettoso verso i suoi colleghi e amava senza
limite i suoi apprendisti.
Un giorno, un suo allievo, Ferenc Hollai, si ammalò
gravemente di tifo. Sandor andò senza indugio all’ospedale di U’jpest, dove il
giovane era internato e con grande generosità si offrì a donargli il sangue.
Per educare ad una vita esemplare, parlava spesso agli
allievi di Don Bosco, di San Domenico Savio, di mamma Margherita.
Sulla strada di Gesù e nel carisma di Don Bosco
Stefano, senza dubbio, era assai entusiasta del suo
lavoro professionale. Quello che lui riusciva a stampare era realizzato con cura
e coscienziosità; tutti i suoi doveri in questo campo erano assolti alla
perfezione. La Tipografia Don Bosco, essendo più scuola che luogo di lavoro e
di commercio, divenne assai celebre in tutto il paese a causa della perfezione
dei suoi prodotti nell’ambito della religione, dell’ascetica e dello svago, ma
anche per l’ottima formazione professionale assimilata dagli allievi.
Saranno proprio quelli gli allievi, che, dopo il diploma,
saranno i preferiti dalle più stimate tipografie della città e dello stato.
Appare chiaro perciò
il motivo per cui, dopo il collasso del 1945, la tipografia dei salesiani fu
oggetto di maggiore ostilità che non le altre tipografie. E fu allora che l’attività
cominciò a diminuire sempre più, di mese in mese.
. Verso il
totale sacrificio di se’ stesso.
Seguendo l’esempio di Don Bosco, egli era solito recarsi spesso nei quartieri più poveri della città
per incontrarsi con i giovani di strada e per dar loro aiuto; ed essi gli si
facevano amici. Questo suo impegno s’ingrandì dopo la guerra, quando cominciò a
cercare anche quelli nascosti tra le macerie dei palazzi e nei vagoni guasti lungo
le linee ferroviarie di Ràkospalota-U’jpest. Li convinceva ad accompagnarlo
all’Oratorio per giocare e per imparare un lavoro dignitoso.
Questo gli
permise, un po’ alla volta, di venire a contatto personale con molti giovani, che
diventavano apprendisti e allievi fedeli.
Era divento inoltre socio di un movimento giovanile
simile all’Azione Cattolica, che si intitolava KIOE, cioè Associazione
nazionale di apprendisti lavoratori cattolici. Col passare del tempo egli
divenne l’animo e la guida di quell’associazione nella casa salesiana, dove si
era formato un gruppo di quaranta giovani associati. Quel gruppo si radunava
ogni settimana: al giovedì e alla domenica, giorno nel quale si celebrava anche
la Santa Messa. In quegli incontri si parlava di argomenti religiosi, si
organizzavano conferenze, si facevano attività diverse, escursioni e celebrazioni
religiose. Non si trattava di politica.
Quando il Governo
ungherese eliminò quell’associazione ( 2 novembre 1946), la si rifondò dandole un nome nuovo ed intrecciandola con l’attività
parrocchiale, cosa che allora era ancora possibile.
Sandor con i suoi allievi e con alcuni giovani, fattisi amici,
continuò gli incontri in appartamenti privati. Al Clarisseum era possibile far quest’apostolato,
perché’ si avvalevano della concessione ottenuta dal cardinal Mindszenty; il
Cardinale concesse con il permesso del Governo che fossero considerate
parrocchie tutte le chiese e le cappelle semi-pubbliche degli ordini e
congregazioni religiose.
Sandor era sacrestano della cappella del Clarisseum; gli
era perciò consentito di radunare i giovani per fare il catechismo.
Approfittando di questo permesso, egli si teneva in contatto anche con i
giovani apprendisti e lavoratori che erano in servizio militare nella Polizia
politica e vestivano la divisa blu.
Nell’anno 1950, quando gli ordini religiosi furono
proibiti e sciolti, dopo aver affittato una camera in un appartamento privato,
nei pressi della casa salesiana, rimase in contatto con i giovani, come faceva
prima ed essi si recavano in quella camera per incontrarlo. Stefano s’impegnava
ad insegnar loro le materie scientifiche e a far opera di formazione, occupando
nello studio anche parte delle ore notturne.
Questo lavoro era pericoloso, ma Sandor era convinto che
quello fosse il suo compito di cristiano e ne conosceva il rischio.
Le loro conversazioni, di allora, vertevano su temi di
meditazione, sul catechismo attraverso spiegazioni bibliche, raramente i loro
discorsi si fermavano su argomento politico. Parlavano della vita cristiana,
dei valori da realizzare nel quotidiano, dei sacramenti, sulla scelta del marito
o della moglie conformemente alla dottrina cristiana, della spiritualità
matrimoniale.
Il gruppo non era grande: circa otto o dieci persone.
Ciascuno poteva esprimere liberamente il suo pensiero e, chi voleva, poteva
dire anche i suoi problemi per ricevere un
consiglio o un incoraggiamento.
Stavano attenti a non far chiasso, a parlare sottovoce, a
non fare rumore, affinché’ non dessero motivo a qualcuno di accorgersi della
loro presenza colà.
Quegli incontri arricchivano moralmente e spiritualmente
i partecipanti, i quali si conoscevano bene ed erano amici tra di loro. Lo
scopo di quegli incontri era di rinforzare la fede rendendola migliore.
Si erano preparati per un eventuale controllo della
polizia, ponendosi d’accordo di dichiarare che i loro incontri si facevano per
festeggiare il giorno del compleanno o quello del loro onomastico.
Ma fin dal 1949, quando in Ungheria, sotto la dittatura
di Màtyàs Ràkoşi, si cominciò a sequestrare i beni ecclesiastici, iniziarono
anche le persecuzioni contro le comunità religiose e le scuole cattoliche; fu
allora che le persone consacrate si trovarono prive di tutto: casa, lavoro, comunità’.
Molti furono costretti alla clandestinità, dovendosi accontentare a fare di
tutto: spazzini, contadini, lavoratori a giornata, aiutanti, facchini, operai,…
Fu chiaro, allora, con immediatezza che la tendenza del
regime comunista era di opporsi alla religione e al cattolicesimo.
Si era deciso di sottomettere la Chiesa cattolica
ungherese al potere statale per distruggerla gradualmente fino alla sua sparizione
totale.
L’inizio del procedimento era il sequestro dei beni, cui
seguiva lo scioglimento delle organizzazioni e associazioni giovanili, sia dei piccoli
che dei grandi; poi la consegna di ogni scuola allo stato e infine la loro
nazionalizzazione.
Sandor, in quella situazione, si sentì in dovere di
salvare le produzioni realizzate. Ed anche in questo rischioso impegno quel buon
religioso non economizzò né il tempo, né la fatica, dimentico della propria
persona.
Nel mese di febbraio del 1950, sorpreso in questo suo
lavoro, dovette fuggire e rifugiarsi nella casa del Noviziato.
Capitolo 3
. Sandor al lavoro nel periodo della
persecuzione
Ed ecco che alla fine di autunno del 1950 furono sciolti
quasi tutti gli ordini e le congregazioni religiose. Nello stesso tempo cominciò
una funesta persecuzione contro tutti i gradi della gerarchia ecclesiastica e
contro i cittadini contrari al nuovo regime comunista. Stefano fu costretto a
nascondersi, abbandonando la tipografia.
Com’era capitato agli altri religiosi, anche lui rimase
solo, si può dire “sulla strada”. Ma di fronte a quella nuova situazione, il
giovane salesiano non si perse di coraggio. Reagì, non al modo della mentalità del
mondo, ma piuttosto secondo lo spirito del cristiano: con docilità allo Spirito
Santo affrontò con fortezza la battaglia che si rivelò decisiva per la sua
vita.
Prese la decisione di continuare la sua opera di
educatore, seguendo Don Bosco, contro le circostanze sfavorevoli.
Ora il suo impegno consisteva nell' insegnare il Catechismo a casa
sua o in un altro luogo adatto.
Il regime comunista, tuttavia, considerava
l’insegnamento religioso come una propaganda politica e intendeva che l’educazione
dei giovani fosse solo prerogativa dello stato. Ne conseguì che alcuni religiosi
si ritirarono dal loro compito di formazione dei giovani e di educatori;
Stefano invece e altre persone cercarono di continuare il loro incarico per la
salvezza delle anime; speravano che, dopo non molto tempo, il regime comunista potesse
perdere il suo potere.
Per mettere le spalle al sicuro e mantenersi e continuare
il suo apostolato, grazie alle sue capacità di tipografo, trovò lavoro in una
tipografia della sua città natale, Szolnok.
La sua abitazione lì era la casa
parrocchiale del reverendo Jozsef Mezòfény e faceva il sacrestano. Nel 1951 preparò
così bene chi avrebbe ricevuto la Cresima e addobbò così bene la Chiesa che il
Vescovo lo lodò con parole di speciale apprezzamento.
In seguito, l’autorità statale scelse Sandor per un istituto
di educazione dello stato.
In realtà, il Partito comunista raccoglieva bambini e
giovani per educarli nelle scuole dirette da professori competenti e scelti dal
Partito stesso. Stefano, dal canto suo, svolgeva molto bene il suo compito, ma
non tradiva i valori cristiani e cercava di educare i giovani e di formarli
secondo i principi della religione cristiana, per questo usava diffondere libri
di letteratura adatti, organizzava rappresentazioni teatrali, raduni,
conversava con i giovani e li accoglieva in incontri e colloqui personali.
La sua attività fu apprezzata ed ebbe un riconoscimento
ufficiale da parte delle autorità, che gli conferirono il titolo di “educatore
del popolo”.
In quel tempo la polizia segreta (AVO) cercò di
accrescere il suo personale, reclutando allievi tra gli orfani e gli operai,
ritenendoli persone maggiormente degne di fiducia per il loro stesso sistema poliziesco.
Quelli maggiormente dotati furono addestrati per fare la guardia di protezione
ai capi del partito.
Alcuni giovani che seguivano il gruppo di formazione di
Stefano entrarono tra queste reclute, conservando tuttavia la loro amicizia con
i loro precedenti insegnanti salesiani. Ci furono anzi tra essi alcuni graduati
di polizia che riuscirono a orientare alcuni amici alla fede cristiana.
Nel frattempo, però, l’esistenza di un laico, che si
occupava dell’educazione e formazione dei giovani e che era un laico-religioso,
si venne a sapere dalle autorità comuniste. Stefano Sandor dovette allora
premunirsi per non subire l’arresto. Nascostosi per alcuni mesi, scambiato il
nome con uno pseudonimo, riuscì a trovar lavoro in una fabbrica di detersivi
(Persil) nella capitale.
A Budapest si ingaggiò in quella fabbrica di detergenti
come operaio giornaliero con il nome Ştefan Kiss; ivi lavorò dal marzo 1951 a
luglio 1952, pur continuando coraggiosamente la sua opera di apostolato tra i
giovani senza paura anche se sapeva che quell’opera era strettamente vietata.
Purtroppo i giovani del suo gruppo commisero un errore.
Sulla strada principale di U’jpest, in quel tempo,
avevano aperto una nuova osteria con il nome “Osteria dell’inferno” e nei suoi
paraggi avevano posto un cartello pubblicitario: “Entrate nell’inferno”. Quei
giovani avevano preso quell’iscrizione come una presa in giro della religione.
La mattina seguente essi coprirono la scritta di quel cartello con del catrame.
I proprietari dell’osteria sporsero denuncia alla polizia AVO. I cani
addestrati condussero i poliziotti all’istituto Clarisseum. Lì arrestarono una
ragazza di quindici anni di nome Hajnal Hegedùs, allieva del ginnasio, che
stava recandosi lì. Sottoposta a tortura, le strapparono dalla bocca i nomi
degli altri membri del gruppo e del salesiano loro animatore.
Tra le persone iscritte al partito, c’erano però persone di
buon senso, esse, quando stava per essere spiccato l’ordine di cattura di
Sandor, glielo comunicarono in antecedenza, rendendogli noto che si conoscevano
tutte le sue attività clandestine.
Egli allora si affrettò ad andare dal suo superiore, l’ispettore
salesiano don Làszlo’ Ădàm, e gli confidò la situazione. Questi lo consigliò di
andarsene dall’Ungheria. Per questo scopo, con l’aiuto di don Kăroly Szitkez si
preparò il passaporto e una lettera per i Salesiani dell’Austria. L’ispettore trovò
anche una persona esperta che avrebbe condotto Sandor, come clandestino,
attraverso il confine, qualora non avesse potuto ricevere il passaporto.
Fu allora che Stefano si trovò di fronte ad una decisione
grave. Cominciò a chiedersi:
“I giovani non
devono forse essere formati? … Devo lasciare l’educazione dei giovani fuggendo
all’estero? ... Che avrebbe fatto Don Bosco? ... Avrebbe abbandonato l’Ungheria?
... Si può permettere alle idee del comunismo di dominare in Ungheria senza far
nulla per la società e soprattutto per i giovani?”.
E prese una decisione:
“Non voglio essere un
traditore della fede e neppure un dissidente che si dà alla fuga!...la
mia vita è per i giovani.”
Presa coscienza della sua decisione come definitiva,
scrisse un messaggio all’ispettore salesiano don Lăzlo’ Ădăm e lo consegnò al
reverendo Jòzsef Kavin.
Dichiarava che egli preferiva affrontare il martirio che
abbandonare i giovani ungheresi.
Rifiutò la possibilità datagli di fuggire e restituì i
denari e i documenti ricevuti.
E reagì, quando Klàra Szàntò gli propose di lasciare da
parte la sua attività con i giovani, nascondendosi. Klàra asseriva che non
c’era scopo di diventare tutti martiri, poiché diceva: “Se tutti diventiamo
martiri, chi rimarrà poi per ricominciare ancora l’educazione dei giovani
quando sarà terminato il pericolo comunista?”
Egli allora la guardò con gli occhi spalancati e
disapprovando quell’opinione affermò che, proprio per la situazione dei giovani
in quel grave momento storico, non poteva abbandonare la gioventù ungherese. Egli
voleva aiutare i giovani ungheresi a conservare i valori della fede cristiana.
E Stefano Sandor, abbandonandosi nelle mani di Dio,
avanzò su quella linea: era la sua scelta, fatta con ferma decisione.
• Verso il Golgota.
- A Budapest.
Stefan rimase a Budapest e scelse di abitare nell’appartamento
di un salesiano ancora in formazione, studente di teologia: Tibor Daniel. Quel
giovane salesiano lo accolse con gioia, certo di potergli dare un aiuto
sufficientemente sicuro. Tuttavia, per essere più tranquillo gli fece assumere
un nome nuovo, uno pseudonimo. Sandor si fece crescere i baffi e cominciò a
portare sempre un paio di occhiali con lenti scure da sole; cambiò anche modo
di vestire, cosicché il suo aspetto non dava modo di riconoscerlo facilmente.
Riuscì ad avere un documento con quel nome nuovo. Richiesto
di essere padrino di un Battesimo, nel registro dei Battesimi firmò proprio con
quel nome, che ormai portava.
In quell’abitazione Stefano s’incontrava regolarmente con
i suoi allievi e i loro amici, prendendosi cura dei loro problemi spirituali e
educativi.
Nello stesso tempo, li preparava sia a difendersi dalla propaganda
anticlericale del regime comunista sia ad aiutare anche altri a restar fermi
nella fede.
Di comune accordo organizzava adorazioni mensili, e, di
domenica e nelle feste, pellegrinaggi a santuari che si trovavano nei pressi di
Budapest. Organizzava anche esercizi spirituali, ordinariamente di tre giorni.
In tutto questo non si trattava di questioni o tendenze politiche; ma si
approfondivano le conoscenze culturali e religiose ; tuttavia quella era veramente
la via che lo avrebbe condotto al Golgota.
- Il vicino lo
tradisce…:
Qualcuno sapeva qualcosa…
Ci fu un giorno nel quale Stefano fu arrestato e
imprigionato.
La padrona della casa, dove Stefano e Tibor abitavano,
era una donna inclinata a curiosare. Si accorse che Stefano riceveva molte
lettere. Era cosa normale per lui, che aveva sei gruppi di giovani con i quali
era a contatto, ma non lo era per quella donna. La padrona, quando riceveva la
posta si permetteva di aprire le lettere
e , dato che il suo marito era della Polizia politica, le consegnava a lui, che
ne trasmetteva il contenuto ai suoi superiori. Nella corrispondenza non c’era nulla che
riguardasse la politica e in modo assoluto nulla che avesse legame con
cospirazione politica. Sandor riceveva solamente domande circa la vita
spirituale, che i giovani volevano rendere migliore ed egli rispondeva a quelle
richieste; ma, per i comunisti, quella forma di apostolato era fare politica
opposta allo stato.
Il sistema di spionaggio dei Comunisti era ben
organizzato e nulla sfuggiva dell’attività di quei due salesiani, cosicché,
quando la Polizia credette di aver prove sufficienti per accusarli, prese la
decisione di mettere quei due agli arresti.
Capitolo 4
. L’arresto
e il martirio.
Tribunale Militare a Budapest
Era il 28 luglio dell’anno 1952.
Al mattino Stefano fu scoperto mentre cercava di nascondere
e porre in salvo alcune apparecchiature per la stampa; fu arrestato e condotto
in carcere.
Al pomeriggio fu la volta di Tibor Daniel, che fu
arrestato nella sua camera mentre stava entrando e fu accolto con uno schiaffo
solenne. Tibor Daniel morira’ nel 1956 dopo la scarcerazione a causa delle
torture che subì in carcere.
Il motivo dell’arresto di Sandor fu l’accusa di complotto
contro lo stato, poiché’ radunava giovani e suoi amici impartendo loro
un’educazione conforme al pensiero cristiano.
Dopo l’arresto, Sandor Stefano non fu più visto dai suoi
confratelli salesiani se non di fronte al tribunale giudicante nel gruppo degli
imputati reclusi. Pregava.
Una volta chiese perdono ai confratelli, forse
pensava di esser stato loro causa di qualche sofferenza.
don Lăzlo’ Ădăm ispettore dei Salesiani
La sua causa fu iniziata e condotta avanti al Tribunale
militare di Budapest assieme ad altre sedici persone. Tra gli accusati si
trovavano anche quattro salesiani: don Lăzlo’ Ădăm ispettore dei Salesiani, don
Karolz Szitkey direttore della tipografia, don Aladăr Varga economo e Tibor
Dăniel studente. Erano accusati come cospiratori che si erano organizzati per
distruggere il regime comunista, poiché, certi nella vittoria degli Americani,
avrebbero voluto impadronirsi del potere.
Tutti e cinque quei salesiani furono giudicati dal tribunale
comunista come cittadini e laici, perché i responsabili dell’arresto non volevano
lasciar intendere, in special modo nei confronti di Sandor Stefano, che il regime perseguitasse la Chiesa, il che sarebbe stato come farne dei martiri.
Secondo il sistema sperimentato da un certo tempo, Sandor
fu sottoposto a interrogatori al di sopra delle forze umane, a torture
spaventose ed a tipici lavaggi del cervello fino a fargli riconoscere che le accuse
false e inconcepibili indirizzate contro di lui erano corrispondenti al vero.
Quelle accuse si riferivano all’aver partecipato a raduni ostili al sistema
“democratico”, ad aver tradito la patria, ad aver svolto attività contro lo
stato, in particolare ad attività di apostolato considerate delitti, tutto ciò
degno di pena capitale.
·
Vita in prigione
Il carcere nel quale dimorò Stefano fu il Tribunale
Militare di Budapest, in via Fò, ma non si conosce con certezza il luogo di
detenzione dal 30
ottobre 19 52 fino all’otto giugno 1953; tuttavia è probabile che si
sia trovato sempre nello stesso Tribunale militare, dove fu incarcerato il 28 luglio 19 52.
Gli avvenimenti successigli si conoscono solamente dalle testimonianze
degli arrestati sopravvissuti, che furono rilasciati liberi e furono in cella
insieme con lui.
Si è saputo che i detenuti abitavano in celle molto
strette con trenta o quaranta persone per cella. Frammiste ai prigionieri vi
erano alcune persone infiltrate per sottrarre ai carcerati notizie segrete, che
poi sarebbero state usate contro di loro.
Per questo motivo i carcerati parlavano tra loro
raramente, sottovoce, con gesti; dovevano esser vigili persino quando
pregavano: tutti erano strettamente sorvegliati.
. Il suo olocausto
Sandor non si perse di coraggio in quel luogo, ma si fece
apostolo. In modo speciale chi era condannato a morte trovava in lui chi lo confortasse
spiritualmente e lo consolasse umanamente.
Il cibo che i carcerati ricevevano era del tutto insufficiente
ma Stefano spesso offriva il suo cibo a chi era ammalato o bisognoso di
sostegno fisico. Il gesto di dare il proprio pane agli altri era un atto molto
difficile, perché la quantità giornaliera di cibo era molto piccola e i
prigionieri dimagrivano di giorno in giorno. Sandor mostrava allora di avere un
grande amore sostenuto dalla sua fede. Inoltre, nonostante l’inquietudine
interiore che gli veniva dalla certezza di dover essere ucciso, egli
risollevava continuamente la speranza nei suoi compagni di detenzione. Questo
faceva con parole piene di fede in Cristo e con la sua preghiera, in special
modo con la recita quotidiana del Rosario, fatta con i suoi compagni di prigionia.
Pregavano numerando le Ave Maria sulle dita, per non esser scoperti dai
carcerieri, come racconteranno quelli sopravvissuti.
E la Madre del Signore sosteneva questo suo figlio, che
trovava in Lei protezione e consolazione per se’ e per gli altri.
Sentenza di condanna a morte per Stefan Sandor
Richiesta di condanna capitale di
A. Zana,F. Farkas e di Sandor Istvan (Ştefan).
Jànos Pokorni, compagno di prigionia poi liberato,
parlando di lui diceva:
“Ci incontrammo l’ultima
volta il 12 marzo
19 53, nel giorno nel quale Sandor fu condannato dal Tribunale
Supremo Militare. Mentre, in catene, era condotto altrove. Sandor mi guardò e volse
il suo sguardo anche sugli altri, come per dare l’ultimo addio… Fu un momento
indescrivibile da non dimenticare!”.
Un altro compagno di prigionia fu
padre Jòzsef Szabò; egli parlò molte volte con Sandor. Dopo la sua liberazione,
raccontò che furono assieme nella prigione militare di Budapest nella cella 32,
nella sezione detta “alto tradimento”. Padre Jòzsef asserì che seppe che Stefano era salesiano, ma
diceva che non lo informò mai sulla spiritualità salesiana, perché era assai
pericoloso parlare di argomenti religiosi, anche per coloro che solo avessero
ascoltato. Disse pure che, dopo quel “processo- farsa” e la condanna, Stefano
fu condotto in cella d’isolamento per passarvi gli ultimi giorni della sua vita.
Narrò che, qualche giorno prima dell’esecuzione capitale, Stefano chiese
l’assoluzione sacramentale.
Il processo terminò il 23 maggio
1953 con la condanna di sedici persone: undici erano giovani e cinque educatori.
Oltre Sandor, cui fu confermata la condanna a morte, furono condannati alla
pena capitale altri tre .
Si conserva un documento
ufficiale in data 25 maggio 1953 con la dichiarazione, che certifica lo
svolgimento del processo, la sentenza del Tribunale Militare Supremo e la
condanna di Stefano ( Istvan ) Sandor all’impiccagione.
Lettera del
Tribunale Militare in data 23 ottobre 1959
che dichiara
alla famiglia
la condanna a
morte di Stefano Sandor
e l’esecuzione
della sentenza.
La sentenza e il modo con il
quale fu condotto il processo mostrano con evidenza che l’unico motivo della
pena di morte per Stefano Sandor fu l’opera di apostolato, la sua religiosità,
la sua fede.
Quando Sandor seppe della sua
condanna – fu la testimonianza dei suoi compagni sopravvissuti alla prigionia –
egli conservò la pace e seppe anche sostenere la fede degli altri.
L’esecuzione avvenne il giorno 8
giugno 1953, alle ore 21.10. Stefano Sandor “in quell’ora” affidava il suo
spirito al Padre celeste, abbandonandosi in Gesù Salvatore: così egli fece la
sua professione di fede e di fedeltà a Cristo Gesù e mostrò il suo amore per la
patria e per i giovani ai quali si era donato fino alla fine.
…Don Bosco
accompagnò Sandor Stefano in Paradiso.
. Verso la gloria degli altari.
Dopo la dittatura del comunismo stalinista, il Governo ungherese ha riconosciuto l’ingiustizia imposta a Sandor Stefano e ai suoi compagni e ha dichiarato, con la legge parlamentare XXVI / 1990, l’annullamento delle accuse e della sentenza di condanna del processo ingiusto fatto contro Sandor Stefano e i suoi compagni e ha chiesto perdono.
La caratteristica predominante nel sacrificio di Sandor
nel tempo della prova, fu la fede incrollabile e la volontà chiara di accettare
il mistero della Croce e del martirio, per amore di Gesù e del Vangelo.
Il suo desiderio di testimoniare la fede fino all’ultimo,
per il bene dei giovani e della sua patria, si scorge con evidenza nella sua
decisione di non abbandonare né i suoi giovani, né la sua terra. Inoltre fu
innegabile e costatabile l’accettazione ferma e voluta del martirio, l’abbandono
pieno di fiducia in Dio e nella sua Madre Maria, verso la quale egli indirizzò
la sua intensa preghiera nel tempo della detenzione. La sua preghiera si
esprimeva quotidianamente nella recita del Santo Rosario, nella pratica della
Via Crucis e nel desiderio profondo di offrirsi in riscatto per i suoi giovani.
I documenti degli interrogatori mostrano la sua
intenzione palese di difendere la fede cristiana contro l’ateismo. Proprio per
questa coerente e coraggiosa professione di fede, Stefano era cosciente della
sua possibile esecuzione. E, di fatto, egli fu condannato a morte per l’attività
apostolica svolta verso i giovani. La sua esecuzione svela senza dubbi la volontà
del Comunismo di distruggere la fede e la Chiesa di Gesù Cristo in quel Paese,
con speciale chiarezza nel periodo di Matzas Rakosi(1950-1953).
. Conclusione
Nell’itinerario della vita di Stefano Sandor appare un crescendo
progressivo della sua fede. Dalla fanciullezza alla giovinezza fino alla sua età
matura Sandor Stefano ha percorso un cammino di maturazione di sé fino alla santità
piena, in virtù della Grazia divina.
Un cammino che divenne deciso e fermo con la sua
Professione religiosa nella Congregazione salesiana, in sintonia con il carisma
di Don Bosco.
La sua vita fu ricca di amore verso i giovani e generosa
nel cercare la salvezza delle anime. L’esempio e lo slancio nella pratica della
vita consacrata raggiunsero la perfezione dell’eroismo. Lo stesso periodo di
vita militare durante la guerra non sminuì per nulla l’integrità del suo
comportamento morale di religioso salesiano. La fede esemplare, profonda e
solida; la preghiera continua; il donarsi nell’apostolato, nel lavoro
sacrificato ed esatto; l’amore fedele e incondizionato verso Dio, verso il
prossimo, verso la Patria e in modo speciale verso i giovani; la fiducia in Gesù
e in Maria, Madre di Dio, e la speranza cristiana, … questa fu la base
spirituale e morale sulla quale Stefano Sandor ha fondato la sua risposta
positiva e totale al martirio, senza nessun ripensamento o dubbio.
La Chiesa Cattolica lo dichiarò Beato e Martire sabato19 ottobre
2013 a Budapest, in Ungheria.
Riguardo al Beato Stefano Sandor SDB, così si esprimeva
il Cardinale Angelo Amato Prefetto della Congregazione delle cause dei Santi,
pur egli Salesiano:
“ Il Beato Martire Stefano lascia a noi, Confratelli
Salesiani, un triplice messaggio. Prima di tutto un annuncio di fedeltà totale,
fino all’ultimo, alla vocazione ricevuta dal Signore; poi un messaggio di
dedizione generosa alla missione di educare i giovani in linea con lo spirito
evangelico; in terzo luogo, un incentivo forte ad essere testimoni di bontà e
di fede in Gesù, seguendo con speranza e amore la sua Parola”…” Il Beato
Stefano Sandor ci affida così come profezia l’importanza dell’educare i
giovani, lottando contro una cultura che spesso combatte i valori della vita,
della carità, dell’impegno generoso, del perdono, della fraternita”.
*
Merita ricordare infine il racconto di Klàra Szàntò, che conobbe il Beato Stefano.
“ Due giorni prima della sua morte, ho avuto una visione. Ho viso Stefano in un prato stupendo ricco di fiori. Il suo aspetto era sereno e il volto straordinariamente bello, luminoso e sorridente. Quando cercai di avvicinarmi a lui, egli mi fece un segno negativo volendomi indicare di non avvicinarmi, dicendo: “ Klara, per ora tu non puoi venire qui!”.
Ora il beato Sandor Istvan (Stefano) martire è per davvero in Paradiso!
Cimitero pubblico dove probabilmente fu
seppellito il Beato Stefano Sandor:
zona 301 del Cimitero di
Rakoskeresztur.
Dati biografici
di
Stefano Sandor Martire
Nato a Szolnok,il 26 ottobre 1914
+ Morto a Budapest, l’otto giugno 1953
* Dichiarato beato e martire a Budapest, il 19 ottobre
2013.
-----------------------------------------
26 ottobre 1914 Nascita
a Szolnok (Ungheria)
29 ottobre 1914 Battesimo a Szolnok nella
Chiesa dedicata
al Sacro Cuore di Gesù e diretta dai Padri
Francescani vicari parrocchiali.
11 maggio 1925 Riceve il sacramento della Cresima a
Szolnok.
giugno 1928 Termina la
scuola dell’obbligo.
1931 Termina
la scuola come apprendista metallurgico.
1932 Presenta
la domanda per essere accolto tra i Salesiani, ma manca il consenso dei
genitori.
1932-1935 Lavora
in una fabbrica come fonditore di rame e tornitore.
23 dicembre 1935 Presenta
nuovamente la domanda per esser accolto tra i Salesiani
12 febbraio 1936 Arriva
a Budapest-Răkos-palota presso i Salesiani del Clarisseum.
28 maggio 1936 Presenta
la domanda per entrare in Noviziato, ma la sua richiesta non viene accolta.
18 settembre 1937 Si trasferisce nella
casa salesiana di Mezoyărăd.
1938-1939 Entrata
in Noviziato, ma è chiamato al servizio militare.
30 agosto 1939 Di
nuovo in Noviziato a Mezoyărăd.
8 settembre 1940
Prima professione religiosa come laico
coadiutore.
22 giugno 1941 L’Ungheria
nella guerra mondiale accanto alla Germania.
16 agosto 1943 Rinnovazione
dei voti.
1944 Richiamo
nell’esercito come radiotelegrafista.
Prigioniero
degli Americani.
Invio
in Germania. Ritorno in Ungheria.
5 novembre 1945 Diploma
di assistente tipografo.
24 luglio 1946 Fa
la professione con voti religiosi perpetui a Răkos–palota (Budapest).
16 giugno 1948 Le
scuole ecclesiastiche sono nazionalizzate.
20 gennaio 1949 Consegue
il diploma di Maestro tipografo.
1946-1949 In
Ungheria le Associazioni cattoliche vengono soppresse.
Estate 1949 La
tipografia „Don Bosco” di Budapest – Răkos-palota viene confiscata e chiusa.
1950 Soppressione
della maggioranza degli Ordini e Congregazioni religiose.
1950-1951 Sandor va ad abitare prima a Mezonyorăd e poi nella città
natale di Szolnok.
1951-1952 Con
il falso nome di Stefano Kiss lavora a Budapest nella fabbrica di detersivi
“Persil”, ma continua il suo apostolato con gli ex-allievi di Budapest-Răkos-palota.
28 luglio 1952 Viene
arrestato e condotto nel carcere del Tribunale Militare, dove sarà torturato e
sottoposto ad estenuanti interrogatori.
28-30 ottobre 1952 Processo
di primo grado con l’accusa di alto tradimento.
12 marzo 1953 Condanna
a morte.
23 maggio 1953 Richiesta
d’ufficio di grazia per A.Zana, F.Farkas
e Stefano Sandor rifiutata dalla Corte Suprema Militare.
8 giugno 1953 Esecuzione
della pena capitale.
1989 L’Ungheria
torna libera e termina il lungo periodo di dittatura comunista.
1990 Con
la legge XXVI del 1990, è dichiarata la nullità della sentenza con la pena di
morte.
Novembre 1999 Il
Governo dell’Ungheria concede una onorificenza speciale a Sandor Stefano.
24 maggio 2006 Apertura
dell’inchiesta diocesana della causa di beatificazione di Sandor.
27 marzo 2007 “Nihil
obstat” da parte della Santa Sede.
8 dic.2007 Chiusura
dell’inchiesta diocesana della causa.
14 novembre 2008 La
Santa Sede approva l’inchiesta diocesana.
27 aprile 2011 La
diocesi consegna alla Santa Sede i documenti circa la causa di beatificazione.
25 ottobre 2011 Seduta
e voto positivo dei Consiglieri storici.
3 luglio 2011 Seduta
e voto positivo dei Consiglieri teologi.
15 gennaio 2013 Sessione
ordinaria dei Cardinali e Vescovi.
27 marzo 2013 Il
Santo Padre Papa Francesco autorizza la promulgazione del decreto di martirio
di Sandor Stefano.
19 ottobre 2013 Solenne
beatificazione di Stefano Sandor a Budapest.
Preghiera al
Beato Stefano Sandor
O Dio Onnipotente ed eterno, che
hai dato al beato martire Stefano
la grazia di offrire la vita per il bene dei giovani,
affrontando con fede prove e persecuzioni,
concedi anche a noi, per sua intercessione,
di operare sempre al servizio della verità,
per far conoscere a tutti il Vangelo della gioia.
Per il nostro Signor Gesù Cristo,
tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli
dei secoli.
Amen.
Bibliografia
D. Pierluigi Cameroni, Stefano Sandor. Martire del Vangelo della Gioia, Ed. Don Bosco Kiadò, Budapest, 2013,pp 200.
D. Pierluigi Cameroni, Come Stelle nel cielo, figure di santità in compagnia di Don Bosco, Ed Velar, Bergamo, 2015, pp.173-176.