I martiri sono il seme di altri cristiani (S. Agostino)
beato Lucien Botovasoa,
Maestro
e padre, martire in Madagascar
Ucciso
perché cristiano nel periodo di persecuzioni che accompagnò l’indipendenza
dell’isola, il maestro elementare, Terziario francescano, è stato elevato agli
onori degli altari nella sua Vohipeno. In rappresentanza del Papa, il cardinale
Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi.
“Dal
desiderio di essere amato dalle persone, salvaci Gesù! Dal desiderio di essere
lodato, liberaci, Gesù! Dal desiderio di essere onorato, liberaci Gesù!”. Una
preghiera scritta a mano, di getto, che portava sempre con sé; parole semplici
e vere come era lui, Lucien Botovasoa, il martire della fede ucciso il 14
aprile 1947 e ora beatificato dalla Chiesa a Vohipeno, comune rurale del
Madagascar orientale. Un frutto dolce e rigoglioso dell’allora ancora giovane
albero missionario, “piantato” nell’isola africana solo dal 1899, neanche dieci
anni prima della sua nascita.
Un
maestro della carità, della verità e del bene
I
missionari del suo piccolo villaggio capiscono subito che è uno speciale, così
lo mandano a studiare dai Gesuiti e lui torna trasformato in maestro, ma anche
in musicista eccezionale e grande sportivo: tutte doti che metterà
immediatamente a disposizione della Chiesa locale. Colto, poliglotta, amato dai
suoi allievi che lo soprannominarono “u be pikopiko”, cioè seme rosso, perché
lo vedevano sempre intento a sgranare il Rosario, sarà proprio la fama della
sua solidissima fede a precederlo. “Lucien insegnava a fare il bene, a vivere
in pace con il prossimo, a formare una comunità fraterna, accogliente e
rispettosa – sottolinea il Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi,
cardinale Angelo Amato – all’odio rispondeva con la carità, alla divisione con
la comunione, alla menzogna con la verità, al male con il bene. Era un
autentico maestro di vita buona: buon cittadino, padre affettuoso, sposo
premuroso”.
L’incontro
d’amore con i Terziari Francescani
E fu
proprio nel matrimonio che riuscì a vivere con pienezza la sua fede, anticipando
di fatto di almeno vent’anni l’apertura al ruolo dei laici e la dimensione di
santità nella quotidianità che saranno tra le cariche innovative del Concilio
Vaticano II. Scoperta per caso la Regola dei Terziari Francescani, trovò in
essa la possibilità di vivere all’interno del matrimonio in una dimensione di
consacrazione, come ricorda ancora il porporato: “Da quel giorno diventa di una
povertà e di una pietà straordinarie: abbandona i bei vestiti e si accontenta
di semplici sandali, della camicia e dei pantaloni – racconta – digiuna il
mercoledì e il venerdì. Si alza a mezzanotte per pregare in ginocchio, poi si
reca in chiesa verso le quattro, restandovi fino all’ora della Messa.
Francescano nell’anima, è sempre gioioso, prega continuamente, dovunque vada ha
sempre il Rosario in mano”.
Non
vittima della guerra civile, ma vero martire cristiano
Lucien
più di una volta ebbe a dire che non si interessava di politica, ma al soffiare
dei venti indipendentisti, in Madagascar i cattolici vennero visti come conniventi
con il colonialismo francese, e perciò perseguitati. Durante la Settimana Santa
del 1947 molte chiese furono date alle fiamme e molti fedeli raggiunti e
uccisi. Anche il “maestro cristiano” venne catturato e processato
sommariamente: il suo rifiuto a partecipare all’insurrezione guidata dai capi
ribelli locali gli valse la condanna a morte. Condotto sul greto del fiume
Matitanana, dove venivano abbattuti i buoi, chiese: “Perché volete uccidermi?”.
“Perché sei cristiano”, fu la risposta. “Allora potete farlo – disse – non mi
difenderò. Che il mio sangue su questa terra salvi la mia patria”. Il suo corpo
fu gettato nel fiume.
"Il
Beato ci insegna a vivere il Vangelo e il perdono"
Diciassette
anni dopo, uno dei suoi aguzzini, in punto di morte, fece chiamare un sacerdote
perché sentiva irrefrenabile il desiderio di essere battezzato prima del
trapasso: “Botovasoa mi promise che sarebbe stato con me quando ne avessi avuto
bisogno. Ora sento che è presente”, furono le sue ultime parole. Una
testimonianza, quella della vita del giovane maestro malgascio, più forte e
dirompente di tutti i suoi insegnamenti a parole: “Egli ci insegna a vivere
integralmente il Vangelo che è il libro della vita e non della morte,
dell’amore e non dell’odio, della fraternità e non della discriminazione –
conclude il cardinale Amato – a noi lascia un grande esempio e un’importante
eredità: il perdono del prossimo, il perdono anche dei nemici, e l’invito a
vivere in fraternità e in pace con tutti”. (da Vatican News 18 aprile 2018)