Noi abbiamo sovente bisogno di una
parola di consolazione.
Guardando alla Passione di Gesu’ e considerando
il suo comportamento, noi comprendiamo dove sta la consolazione.
Prendiamo per questo in mano il Vangelo
quando ci parla della Crocifissione di nostro Signore Gesu’ e poi cerchiamone
il commento nelle parole di San Francesco di Sales e, ai nostri giorni, nelle
parole del Santo Padre Benedetto XVI.mo.
«Quando fu mezzogiorno, si
fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò
a gran voce: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio
mio, perché mi hai abbandonato?”» (Mc 15,34).
Cominciamo ad approfondire il Vangelo seguendo il
pensiero di S. Francesco, che,nel “Tratttato dell’Amor di Dio”, composto per la Visitazione e per le
anime che desiderano continuare nel cammino dell’amore, scrive:
“Pensa, ti prego, Teotimo, quanto era
dura la vita degli Apostoli; nel corpo per le ferite, nel cuore per le angosce,
secondo il mondo, per l'infamia e la prigionia. E in mezzo a tutto ciò, Dio
mio, quale indifferenza! La loro tristezza è piena di gioia, la loro povertà è
ricca, le loro morti sono vitali, e i loro disonori onorevoli; ossia sono
contenti di essere tristi, contenti di essere poveri, pieni di energia nel vivere
tra i pericoli della morte e gloriosi di essere umiliati, perché quella era la
volontà di Dio. E siccome essa era più riconoscibile nelle sofferenze che nelle
azioni delle altre virtù, pongono al primo posto l'esercizio della pazienza,
dicendo: -Manifestiamoci in tutte le cose come servi di Dio, con molta pazienza
nelle tribolazioni, nelle necessita’, nelle angosce; e alla fine, nella
castità, nella prudenza, nella clemenza.
Così, il nostro divin Salvatore fu
martoriato in modo che non ha paragone nella vita civile, condannato come
criminale per lesa maestà divina e umana, percosso, flagellato, beffeggiato e
tormentato con ignominia straordinaria: nella vita naturale, morendo tra i più
crudeli e atroci tormenti che si possono immaginare; nella vita spirituale,
soffrendo tristezze, timori, spaventi, angosce, abbandoni e oppressioni
interiori che non hanno mai avuto né avranno l'eguale. Infatti, benché la
parte superiore della sua anima godesse pienamente della gloria eterna, l'amore
impediva a quella gloria di comunicare le sue delizie sia ai sentimenti, sia
all'immaginazione, sia alla ragione inferiore, lasciando così il cuore
completamente esposto alla mercé della tristezza e dell'angoscia.
Ezechiele vide il simulacro di una mano
prenderlo per i capelli e sollevarlo tra cielo e terra(Ez.8,3c) anche Nostro
Signore, innalzato sulla croce tra cielo e terra, dava l'impressione di
essere sostenuto dalla mano del Padre soltanto per mezzo della suprema punta
dello spirito, e, per modo di dire, di un solo capello del suo capo che,
toccato dalla dolce mano dell'eterno Padre, riceveva una grande abbondanza di
felicità, mentre tutto il resto rimaneva sprofondato nella tristezza e nella
sofferenza; ecco perché grida: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?.
Si dice che il pesce chiamato lanterna
di mare, nel pieno infuriare delle tempeste tiene la sua lingua fuori delle onde;
essa è così brillante, splendente e luminosa che serve da faro e da fiaccola ai
nocchieri:; così, in mezzo al mare di tormenti dai quali fu oppresso Nostro
Signore, tutte le facoltà della sua anima erano come inghiottite e sepolte
nella tormenta di tanta sofferenza, tranne la cima dello spirito che, libera da
ogni pena, era lucida e risplendente di gloria e di felicità.
Quanto è felice l'amore che regna nella
cima dello spirito dei fedeli, mentre sono sbattuti dai marosi e dalle onde
delle tribolazioni interiori.
(S. Francesco di Sales, Trattato
dell’amor di Dio, libro IX, cap. 5)
Anche il Santo Padre Benedetto XVI.mo
ci ha parlato di questo abbandono nell’oscurita’ e nella sofferenza, di cui
Gesu’ in Croce e’ stato soggetto e afferma:
“Ripetendo dalla croce proprio le
parole iniziali del Salmo, “Elì, Elì, lemà sabactàni?” – “Dio mio, Dio mio,
perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46), gridando le parole del Salmo, Gesù
prega nel momento dell’ultimo rifiuto degli uomini, nel momento dell’abbandono;
prega, però, con il Salmo, nella consapevolezza della presenza di Dio Padre
anche in quest’ora in cui sente il dramma umano della morte…..
E questo avviene anche nel nostro rapporto con
il Signore: davanti alle situazioni più difficili e dolorose, quando sembra che
Dio non senta, non dobbiamo temere di affidare a Lui tutto il peso che portiamo
nel nostro cuore, non dobbiamo avere paura di gridare a Lui la nostra
sofferenza, dobbiamo essere convinti che Dio è vicino, anche se apparentemente
tace. ….
In questa preghiera di Gesù sono
racchiusi l’estrema fiducia e l’abbandono nelle mani di Dio, anche quando
sembra assente, anche quando sembra rimanere in silenzio, seguendo un disegno a
noi incomprensibile. Nel Catechismo
della Chiesa Cattolica (n. 603), leggiamo così: «Nell’amore
redentore che sempre lo univa al Padre, Gesù ci ha assunto nella nostra
separazione da Dio a causa del peccato al punto da poter dire a nome nostro
sulla croce:
“Mio Dio, mio Dio, perché mi hai
abbandonato?”». Il suo è un soffrire in comunione con noi e per noi, che deriva
dall’amore e già porta in sé la redenzione, la vittoria dell’amore….
Nel momento estremo, Gesù lascia che il
suo cuore esprima il dolore, ma lascia emergere, allo stesso tempo, il senso
della presenza del Padre e il consenso al suo disegno di salvezza dell’umanità.
Anche noi ci troviamo sempre e nuovamente di fronte all’«oggi» della sofferenza, del silenzio di Dio - lo esprimiamo tante volte nella nostra preghiera - ma ci troviamo anche di fronte all’«oggi» della Risurrezione, della risposta di Dio che ha preso su di Sé le nostre sofferenze, per portarle insieme con noi e darci la ferma speranza che saranno vinte (cfr Lett. enc. Spe salvi, 35-40).
Anche noi ci troviamo sempre e nuovamente di fronte all’«oggi» della sofferenza, del silenzio di Dio - lo esprimiamo tante volte nella nostra preghiera - ma ci troviamo anche di fronte all’«oggi» della Risurrezione, della risposta di Dio che ha preso su di Sé le nostre sofferenze, per portarle insieme con noi e darci la ferma speranza che saranno vinte (cfr Lett. enc. Spe salvi, 35-40).
E questo avviene anche nel nostro
rapporto con il Signore: davanti alle situazioni più difficili e dolorose,
quando sembra che Dio non senta, non dobbiamo temere di affidare a Lui tutto il
peso che portiamo nel nostro cuore, non dobbiamo avere paura di gridare a Lui
la nostra sofferenza, dobbiamo essere convinti che Dio è vicino, anche se
apparentemente tace."
E il Santo padre conclude:
“Cari amici, nella preghiera portiamo a
Dio le nostre croci quotidiane, nella certezza che Lui è presente e ci ascolta.
Il grido di Gesù ci ricorda come nella preghiera dobbiamo superare le barriere
del nostro «io» e dei nostri problemi e aprirci alle necessità e alle
sofferenze degli altri. La preghiera di Gesù morente sulla Croce ci insegni a
pregare con amore per tanti fratelli e sorelle che sentono il peso della vita
quotidiana, che vivono momenti difficili, che sono nel dolore, che non hanno
una parola di conforto; portiamo tutto questo al cuore di Dio, perché anch’essi
possano sentire l’amore di Dio che non ci abbandona mai. Grazie”.
Ed ancora, parlando ai malati afferma:
" Il momento della sofferenza, nel quale potrebbe sorgere la tentazione di abbandonarsi allo scoraggiamento e alla disperazione, può trasformarsi in tempo di grazia per rientrare in se stessi e, come il figliol prodigo della parabola, ripensare alla propria vita, riconoscendone errori e fallimenti, sentire la nostalgia dell'abbraccio del Padre e ripercorrere il cammino verso la sua Casa. Egli, nel suo grande amore, sempre e comunque veglia sulla nostra esistenza e ci attende per offrire ad ogni figlio che torna da Lui, il dono della piena riconciliazione e della gioia" assieme all'annuncio che alla fine verra' partecipata anche a noi la definitiva vittoria sul male fisico, morale e spirituale con la forza della sua Passione, Morte e Risurrezione.
(vedi Benedetto XVI.mo, messaggio per la Giornata Mondiale del malato 11 febbraio 2012)
Ed ancora, parlando ai malati afferma:
" Il momento della sofferenza, nel quale potrebbe sorgere la tentazione di abbandonarsi allo scoraggiamento e alla disperazione, può trasformarsi in tempo di grazia per rientrare in se stessi e, come il figliol prodigo della parabola, ripensare alla propria vita, riconoscendone errori e fallimenti, sentire la nostalgia dell'abbraccio del Padre e ripercorrere il cammino verso la sua Casa. Egli, nel suo grande amore, sempre e comunque veglia sulla nostra esistenza e ci attende per offrire ad ogni figlio che torna da Lui, il dono della piena riconciliazione e della gioia" assieme all'annuncio che alla fine verra' partecipata anche a noi la definitiva vittoria sul male fisico, morale e spirituale con la forza della sua Passione, Morte e Risurrezione.
(vedi Benedetto XVI.mo, messaggio per la Giornata Mondiale del malato 11 febbraio 2012)
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Nei momenti di sconforto e della sofferenza ricordiamo
allora Gesu’ in Croce che ha portato anche le nostre pene e uniamoci al suo
abbandono nelle mani del Padre amoroso pur manifestando nella preghiera il nostro dolore e, nello
stesso tempo apriamoci a chi soffre come noi o piu’ di noi, pregando per lui.