Un Missionario speciale,
un grande missionario,
uno dei piu' grandi missionari di questi anni.
Ci ha lasciato...ma per esserci vicino dal Cielo con il suo aiuto e per esserci vicino sulla terra con il suo esempio.
Di lui scrivono cosi':
P. Luigi Bolla
Yankuam Jintia
Un
missionario geniale
Un giorno il Padre Luigi Bolla ricordava: ”Quando
la nave salpò da Genova vissi uno dei momenti più belli della mia vita, perché mentre
sentivo che la nave si allontana dal porto con una lentezza immensa, sembrava che tutto morisse: le tue amicizie, la tua
terra, i tuoi monti, la tua gente. Ricordo – e credo sia un pensiero di tutti i
missionari - che dissi al Signore: ho lasciato tutto, adesso mi rimani solo tu,
perché del mondo nuovo non conosco niente. E’ il momento in cui il Signore ti
dice: “IO SONO TUTTO E SOLO PER TE”, è un momento di allegria infinita”.
E la nave salpò un volta ancora….
Il Padre Luigi Bolla Sartori, missionario
salesiano, figlio delle viscere della Amazzonia, difensore e messaggero del
Vangelo per le popolazioni indigene, ha smesso di esistere per questa vita. La
morte lo ha sorpreso a Lima il 6 di Febbraio 2013. Egli ha consumato la sua
vita assieme al popolo Achuar che ha tanto amato diventando uno di loro per
portarli a Dio.
Ora nei villaggi Achuar si sente il canto
anent intonato dalle donne:
Yankuam
Fratellino mio, Yankuam
Perché te ne sei andato?
Chi ci predicherà il Vangelo?
Torna presto.
Io sono triste.
Voglio vederti di nuovo,
fratellino mio, ritorna.
Tutti
noi che abbiamo conosciuto il Padre Bolla come un vero Padre-Apachi possiamo
dire di lui, con le parole del poeta Pemàn:
“Mi sono dato nell’allegria
e nel dolore.
Mi sono dato nella salute e
nella malattia.
Mi sono dato senza tendere
mai la mano per reclamare il favore
fatto.
Mi sono dato in una maniera
tale,
che la morte mi ha trovato,
con nient’altro che Amore”.
Il
Padre Bolla fu ricoverato Lunedì 7
Gennaio 2013 nell’Unità di Terapia Intensiva della Clinica Padre Luis Tezza di
Lima, a causa di una ischemia cerebro-vascolare che gli aveva causato la
perdita della conoscenza mentre stava facendo gli Esercizi Spirituali nella
Casa di Riposo salesiana “Tabor” (Chosica). Fu soccorso immediatamente e
trasportato all’ospedale più vicino e poi a Lima dove affrontò una operazione
chirurgica con enorme rischio.
Tutti
i membri della Famiglia Salesiana e amici dell’Opera Salesiana furono invitati
a unirsi in preghiera per chiedere al Signore con insistenza la grazia per la completa guarigione di Padre
Luigi perché il suo amore misericordioso fosse glorificato nel ricordo del suo
servitore Mons. Octavio Ortiz Arrieta. Però i progetti del Signore erano altri
e noi li accettammo con amore perché sappiamo che il cuore del Padre non
desidera altro che il bene per le persone che Egli ama (cf Rm 8,28). Nella vita e nella morte siamo sempre del
Signore. Per questo facciamo nostra la preghiera che S. Agostino elevò a Dio
dinanzi alla morte di una persona cara: “Signore, non ti chiediamo perché ce lo
hai tolto, solamente ti ringraziamo per tutto il tempo che è rimasto a nostro
lato”.
Sì,
oggi, Signore, ti ringraziamo per tutto il tempo che Padre Luigi è rimasto di
fianco a noi. La sua vita è una pagina del Vangelo che tutti, credenti e non
credenti, possono comprendere e ammirare, una pagina gloriosa per la Chiesa e la Congregazione. Quanto
vere sono le parole di Don Bosco trascritte nelle Regole Salesiane!: “Quando un
salesiano muore lavorando per le anime, la Congregazione ottiene
un grande trionfo” (C54).
Infanzia, Vocazione e Formazione
Il
Padre Luigi Bolla nacque il 11 agosto 1932 a Schio, una piccola città della provincia
di Vicenza (nella regione Veneto, nel nord di Italia). Schio fu chiamata la
“Manchester italiana”per il suo fiorente commercio e per la lavorazione della
lana analogamente a quanto avveniva nella città inglese.
Luigi
nasce nella famiglia del Sig. Giuseppe e Sig.ra Anna Sartori che ebbero sette
figli: Olinto, Giovanni (defunto), Giorgio (Salesiano defunto), Luigi, Amelia,
Maria (defunta) e Antonio.
In
gioventù lo colpì la figura di Don Bosco che conobbe attraverso i Salesiani che
si erano stabiliti a Schio il 27 Ottobre del 1901. “ Nell’Oratorio della mia
città Schio tra gli anni ’40 e ’50 - confessava
Padre Luigi - ebbi un forte desiderio, quasi una forza interiore che mi
spingeva, volevo essere MISSIONARIO nella foresta tra i fratelli che non
conoscevano nulla di Gesù e del Vangelo”.
Una
grande impronta nella sua formazione lasciò anche Suor Giuseppina Bakhita, di
origine sudanese, che conobbe personalmente.
Suor
Bakhita morì a Schio il 8 Febbraio 1947. Tutti la ricordavano con venerazione
come “Nostra Madre Moretta”. E’ stata canonizzata il 1 Ottobre 2.000 da papa
Giovanni Paolo II. Santa Bakhita, una donna che soffrì molto, ha lasciato un
meraviglioso testamento di perdono per amore a Cristo: ”Se tornassi ad
incontrare quei negrieri che mi hanno rapita e torturata, mi inginocchierei
davanti a loro per baciar loro le mani, perché, se non mi avessero rapita, non
avrei conosciuto Gesù Cristo e adesso non sarei né cristiana né religiosa”.
Padre
Luigi entrò al Noviziato salesiano nella casa di Albarè di Costermano (VR) il
15 Agosto 1948. Emise la sua prima professione religiosa il 16 Agosto 1949.
Ricevette
la formazione filosofica a Nave (1949-1952). Il 13 Agosto 1952, rinnova la sua
Professione religiosa nella casa salesiana di Este. Inizia il suo tirocinio a
Venezia isola San Giorgio. Il suo desiderio era essere missionario, per questo
“Dopo il Noviziato - racconta Padre Luigi - cominciai a chiedere ogni anno ai
miei Superiori e, finalmente, alla quarta richiesta, acconsentirono. I miei
superiori mi inviarono in America Latina, in Ecuador, per lavorare con gli
Jibaros, nel Vicariato di Mendez y Gualaquiza. Era l’anno 1953”- Luigi ha 21
anni e il suo sogno missionario comincia a realizzarsi.
Continua
la sua esperienza pedagogica come tirocinante a Cuenca (1953-54) e poi a
Bomboiza (1954-55). Il 10 Agosto 1955 dà i voti perpetui a Cuenca. Alla
richiesta di essere ammesso alla professione perpetua, il Consiglio della casa
di Bomboiza fece le seguenti osservazioni: “Ottimo spirito religioso, docile, ricco
di pietà, dato al sacrificio. Con iniziativa e con molta capacità per lo
studio; conoscitore di musica e canti sacri. Un po’ debole di salute e, a
volte, un po’ scrupoloso”.
In
Bomboiza incomincia a imparare il linguaggio degli Shuar, una sotto-etnia degli
Jibaros. Alcuni mesi dopo si reca a Bogotà per studiare teologia. In questa
città è ordinato sacerdote il 28 Ottobre 1959.
Nel cuore della foresta
ecuatoriana
Ritorna
a Macas in Ecuador (1960) e da lì va a Taish (una missione tra gli Shuar
iniziata nel 1958) per lavorare con Padre Casiraghi e un salesiano coadiutore.
E’
in quel tempo che gli Shuar danno a Padre Luigi il nome di YANKUAM (stella
della sera).
Durante
dieci anni (1960-1969) lavora
con le famiglie indigene che erano assai sparse in una zona molto vasta.
Assieme alla sua missione di portare la parola di Dio, riesce a formare
comunità in piccoli villaggi e scuole.
In
questi anni visita gli Achuar, altra popolazione Jibara. Le sue viste duravano
15 o più giorni in un periodo di lotte tribali.
Padre
Luigi ricorda come durante i primi anni dovette vincere la resistenza degli indigeni.
“Solo la prima volta ho avuto un po’ di paura: il primo contatto con gli Achuar
lo ebbi in Taish, con un uomo che aveva ammazzato uno stregone Shuar. Io andai a
visitarlo accompagnato da tre ragazzi Shuar, e, dal momento che non era in
casa, aspettammo che arrivasse. Al vederci subito caricò la sua carabina e
iniziò il canto di rifiuto che consiste nel ripetere quattro volte la stessa
parola. Dopo venti minuti si calmò e noi passammo lì la notte. In quella
occasione io fui l’unico che dormì bene perché gli altri non ci riuscirono per
la paura. In varie occasioni ho dovuto sperimentare situazioni analoghe. Li
affrontavo faccia a faccia mentre facevano i loro discorsi di guerra. Quelli
che mi accompagnavano si nascondevano e mi lasciavano piantato da solo di
fronte agli Achuar” ricorda tra le risate Padre Luigi.
Durante
il 1970 resta a Roma per aggiornarsi negli studi di teologia (Vaticano II), in
particolare in missionologia.
Nel
1971 Padre Luigi riceve il permesso di vivere assieme agli Achuar per essere il
loro pastore e si stabilisce in Wichim dove rimane per dieci anni, portando
avanti la sua missione evangelizzatrice e di aiuto alle comunità indigene. In
questo periodo divide la sua vita missionaria con un giovane salesiano Josè Arnalot,
chiamato Chuwint, e poi con il Padre Domingo Bottasso. Il Padre Natale Pulici, Warush,
lo accompagnava due o tre volte all’anno nei suoi giri apostolici.
Alla
fine del 1978 e inizio del 1979 Padre Luigi e Padre Domingo visitano per
quattro mesi la zona nord del Vicariato Apostolico de Yurimaguas (Perù) che Padre
Luigi già conosceva. Si fece anche il censimento di tutti i gruppi Achuar.
Con gli Achuar in Perù
Nel
Marzo del 1984, Padre Yankuam, con il permesso del Rettor Maggiore, Padre
Egidio Viganò, su richiesta di Monsignor Miguel Irizar, Vescovo di Yurimaguas,
arriva a Kuyuntsa sul fiume Manchari. Da allora appartiene alla Ispettoria
“Santa Rosa de Lima” però rimane tra gli Achuar per ragioni di apostolato.
Lavorò
per vari anni da solo, fino a quando l’Ispettoria del Perù assunse la
parrocchia di San Lorenzo (Febbraio 2001) nel Vicariato di Yurimanguas. Si
stabilì in quel momento la Missione Salesiana Amazzonica con sede a San
Lorenzo e Kuyuntsa.
La
parrocchia di S. Lorenzo di Datem del Maraňon (Loreto), si estende per più di
40mila km quadrati in una enorme estensione di area verde (selva) e acqua che
confluisce nei fiumi Pastaza, Morona, e Maraňon. Scrivendo all’Ispettore di
allora manifestava la sua allegria: “ Sono felice di aver portato il mio granello di sabbia perché i
miei fratelli Salesiani entrino nella selva peruviana e ringrazio il Signore e la Vergine Maria per
questo….” (Lettera del 28 Giugno 2001).
La
zona di lavoro di Padre Luigi corrisponde ecclesiasticamente al Vicariato
Apostolico di Yurimaguas, politicamente ai Distretti di Andoa e Pastaza della
provincia di Datem del Maraňon nella
regione Loreto.
Egli
stabilisce la sua base nelle comunità di Kuyuntsa (1984-1995), Sanchiik
(1995-2006) e nuovamente a Kuyuntsa (2006-2012).
In
terra peruviana riceve dagli Achuar il suo secondo nome Jintia
(sentiero/percorso). Dal 1986 lo accompagnò il missionario laico di Chocosica (Lima)
Juan Juarez, “Tsere”. Dal 2005, il Padre Diego Clavijo si uni a Padre Bolla in
Sanchiik, ricevendo il compito della pastorale con gli Wampis dell’alto rio
Morona, i Quechua dell’alto Pastaza e i Kandozi del basso rio Huituyacu. Nel
2009 si aggiunge un altro missionario salesiano, Padre Nelson Vera, originario
di Cajamarca (Perù), che assume la pastorale dei quechua e dei Kandozi. La
presenza missionaria si fece in questo modo più significativa.
Commentava
Padre Luigi:” Tra gli Achuar del lato peruviano non c’era nessuna tradizione
cristiana e il lavoro missionario è molto più difficile perché la zona
peruviana è molto più ampia e isolata, si percorrono grandi distanze tra paese
e paese che possono richiedere vari giorni di cammino e che si possono fare solo
a piedi o in canoa… è una sfida continua.”
In
questi anni si dedica a formare pazientemente gli Animatori della Parola perché
loro stessi siano quelli che propongano l’evangelizzazione nelle loro comunità,
però senza imposizioni: “Non si impone nulla, l’ultima parola la devono avere
loro” diceva Padre Luigi.
Promuove
presso le comunità cristiane dei villaggi Achuar la costruzione delle cappelle
“umpak”, la bella casa tradizionale, per celebrare la Parola del Signore, narrare
i miti antichi che collegano Cristo con la religione animista. Padre Luigi segue
gli insegnamenti del Vaticano II, della “Evangelii Nuntiandi” del Papa Paolo
VI, e con grande allegria riceve la espressione del Papa Giovanni Paolo II in
Canadà (15/09/1984): “Cristo stesso è indio nelle membra del suo corpo”.
E’
cosciente che attraverso atteggiamenti, riti, canti, segni di fede religiosa,
Dio parla loro per mezzo di Gesù, dando compimento e pienezza ai desideri più
profondi di vita e salvezza degli Achuar, liberandoli dalla schiavitù del
peccato.
Un
giorno un giovane Animatore della Parola, ancora non battezzato, diceva a
Yankuam: ”Apachi (Padre), mia sorella è morta. Una volta noi Achuar, sapendo
per mezzo dello sciamano il nome dello stregone (wawekratin) che aveva causato
la morte di un parente, lo avremmo ammazzato… Io seppi il nome, ma gli ho
perdonato perché voglio vivere secondo la Parola di Gesù. E questo mi ha fatto felice”.
Padre
Luigi è riuscito a conoscere a fondo la lingua e la cultura Achuar, le loro
tradizioni e credenze, i loro costumi, la loro visione del cosmo e i loro
valori. Questa convivenza rispettosa della cultura gli ha fatto ottenere il
rispetto delle comunità e gli ha permesso di assisterle nella graduale trasformazione
da popolo guerriero e vendicativo a un popolo democratico che dialoga, si
organizza, prende le proprie decisioni e sceglie il proprio cammino in sintonia
con i suoi valori e con la luce del Vangelo.
Dopo
un anno di paziente seminare, Padre Luigi non solo ha ottenuto che i fratelli
indigeni chiedano d poter accedere ai
Sacramenti di iniziazione e al matrimonio, ma anche ai ministeri istituiti.
Nel
cammino ministeriale, catechisti e ministri istituiti, attualmente più di
quaranta, si sono impegnati a annunciare alle proprie comunità la Parola , tre volte alla
settimana. Ci sono nel territorio Achuar nove cappelle con il Santissimo curate
dai ministri della Comunione. Negli incontri con gli animatori si va
realizzando un processo di apprendimento e riflessione che aiuta loro e le loro
comunità a comprendere e trattare di vivere profondamente quello che si
celebra, specialmente nei sacramenti
dell’Eucarestia e della Riconciliazione.
La
struttura organizzativa di animatori e ministri istituiti la possiamo chiamare
“Il Seminario Achuar” (Utsuptuku Jintia): gli Etserin (ministri della Parola),
gli Ayurkartin (ministri della Eucarestia), gli Jiikratin (esorcisti) e i cinque diaconi permanenti (Imiakratin)
animati dai missionari, accompagnano, animano e si impegnano a evangelizzare le
loro comunità. Per di più ci sono altre popolazioni Achuar che sono visitate
pastoralmente due volte all’anno dai diaconi, dai ministri della Parola e dai
ministri dell’Eucarestia.
I
ministri ecclesiali Achuar, durante questi anni, hanno seguito un continuo
processo di studi biblici, ecclesiologici, mariani, liturgici, teologici nella
loro lingua. La formazione dei ministri ecclesiali, è sempre stata orientata affinchè
siano parte attiva della vita di Fede comunitaria e una ricchezza per la Chiesa Universale ,
conducendo la pastorale Achuar con i propri diaconi e nel futuro con sacerdoti
Achuar.
Non
si può non parlare del dialogo ecumenico realizzato con i fratelli evangelici,
soprattutto con le comunità del Nord, che invitano il missionario a predicare
quando passa di lì. Nella comunità di Uwijint, nel Novembre 2012 si è
realizzato il IX Incontro di Animatori e ministri istituiti con la
partecipazione dei Diaconi permanenti e vari pastori evangelici. Il tema fu: “I
tre dogmi mariani: Maria Madre di Dio, la Immacolata Concezione
e la Assunzione
al Cielo”.
Padre
Luigi ebbe una notevole produzione letteraria. Ha raccolto in vari libri le sue
osservazioni e le tradizioni che le comunità dei nativi gli hanno comunicato
negli anni. Ha fatto una traduzione al Achuar del Nuovo Testamento che si usa
in tutte le comunità cristiane Achuar da entrambi i lati della frontiera.
Sempre con la dovuta licenza ecclesiastica, ha composto rituali per i
Sacramenti e alcuni altri riti in sintonia con la coltura Achuar, come pure
canzonieri, catechismi e altri libri liturgici per uso degli Animatori
cristiani delle comunità. Aveva iniziato anche la traduzione dell’Antico
Testamento.
Quelli
che abbiamo conosciuto a Yankuam Jintia (la stella che indica il cammino) lo
ricordiamo con il volto pieno di felicità, aperto all’incontro, che visse e
lavorò con il popolo Achuar per decenni senza mai perdere l’entusiasmo del
primo giorno.
Monsignor
Josè Luis Astirraga, Vescovo di Yurimaguas, al funerale (8 Febbraio 2013),
disse:” Il cammino della Chiesa Achuar è un cammino valido”.
Dal Bollettino Salesiano di Giugno 2013 |
Vangelo vivente
Vorremmo
adesso metter in risalto alcuni aspetti della sua personalità, della sua
statura spirituale, pur essendo consapevoli che le parole non riescono a
rendere tutto quello che vorremmo dire, né tutta la ineffabile ricchezza di
vita interiore di Padre Yankuam
1) Prima di tutto Padre Luigi è
stato un uomo di Dio. Una esistenza che attraverso le
difficoltà, i successi e i fallimenti, con le preghiere e la vita austera, la
predicazione, la visita alle comunità e il lavoro intellettuale, si è andata
progressivamente raccogliendo in Dio.
Conserviamo un foglio
manoscritto che contiene le sue riflessioni e la sua preghiera all’ascolto le
meditazioni proposte da Padre Carlos Ampuero, salesiano proveniente dal Cile,
durante i primi due giorni dei suoi ultimi Esercizi Spirituali. Rivelano la sua
profondità spirituale:” Gesù vive oggi tra di noi, nella Chiesa, con Maria… Gesù,
credo in Te, confido in Te anche se non ti vedo. Alla fine della mia vita
terrena penso che ho sprecato occasioni per crescere in Gesù e Maria”.
Il 6 Gennaio 2013,
ultimo giorno prima della malattia, scrive: ”Rimani con me, Signore, ho bisogno
di te.
A volte temo che Tu
mi chieda troppo ma penso che anche in questo caso Tu non mi lasceresti solo e
sosterresti la mia fragilità. Mi rimane poco tempo di vita nel mondo presente,
però so che, dall’altra parte del tunnel, vedrò il Tuo Volto meraviglioso che
mi sorride, e, forse, Te lo ho chiesto sempre, vedrò il Tuo sorriso prima del
tunnel. Mio Signore, con Tua madre Maria, riempirete totalmente la mia
speranza, nella fede, rimanendo nel mio povero e piccolo amore verso di Te,
verso Tua Mamma e tutti i miei fratelli. Temo il tuo silenzio così lungo!,
Signore: però non posso pretendere che Tu mi parli come quando mi hai chiamato
da bambino, anche se credo che Tu lo possa fare… Aiutami,
Signore. Credo in Te
e spero in Te, senza vederTi né sentirTi. Però sì, credo che continui ad essere
resuscitato con noi e con me. Signore Gesù, guardo i tuoi occhi e ti amo… Gesù
e Maria rimanete con me e con tutti noi”.
Dopo la conversazione
della sera, l’ultima dei suoi Esercizi Spirituali che saranno interrotti la
mattina seguente, scriveva: ”Maestro Divino Gesù, resta con me. Tu sei sempre stato con me e molte volte non l’ho
creduto o non l’ho pensato. Fai aumentare la mia fede nella tua presenza. Io
Credo, mio Signore, rimani sempre con me e con tutti gli uomini e le donne del
mondo. Rimani sempre nella tua Chiesa che Tu hai fondato. Grazie Gesù. Tu raccoglierai i miei ultimi respiri, assieme a
Maria, Madre Tua e di tutti noi”. E
conclude con le sue ultime parole scritte sulla terra: “Gesù, rimani con me e
con tutti noi dal momento che sta scendendo la sera”.
Così appare la vita
nella Fede di Padre Luigi: una vita centrata in una sola persona, Cristo,
innamorato perdutamente di Lui. Quale splendida e trasparente vetrata ha
lasciato passare la luce di Dio e tutti quelli che lo incontravamo, sentivamo
subito la fragranza spirituale propria del mistico e del santo, dell’uomo
giusto che è “Come un albero piantato vicino al fiume che da frutto quando è il momento e mantiene il suo
fogliame sempre verde” (Sal 1,3).
Scrivendo
all’Ispettore non esitava a riconoscere che ” la nostra vita è nelle mani del
Signore, buone mani, e in quelle di
Maria” (lettera da Sanchiik del 19.9.2004).
Per finire un uomo
vero, coerente, una personalità cristallina, un salesiano fedele, innamorato
della sua vocazione, un credente convinto, profondamente radicato nel Vangelo
che meditava, pregava, viveva e spiegava agli altri.
Due confratelli
salesiani hanno espresso a loro modo questa percezione quando seppero delle precarie
condizioni di salute di Padre Luigi.
Padre Josè Maria
Domenech scrive: “Prego perché tutti possiamo vivere con maggior coscienza il
bene che Padre Luigi ha fatto alla nostra Ispettoria con il dono generoso, umile,
clamorosamente silenzioso, della sua vita in mezzo a noi. Sono i doni di Dio
che non si fanno notare fino a quando non ci inchiniamo con umiltà per
riconoscere la Sua
presenza nelle persone che ci circondano e ci servono nel silenzio e la
semplicità. Come fa lui e come ha sempre fatto. Benedico il Signore per avermi
concesso la grazia di averlo conosciuto a partire dai primi anni della sua
permanenza tra di noi… Il suo era un semplice, concreto e deciso dedicarsi a
loro (gli Achuar); non eseguiva il suo incarico missionario, lo viveva con
tutte le sue forze… Ci ha impressionato tutti…”.
Da Bogotà, Oscar
Montero, salesiano studente di teologia, commenta la notizia della malattia di
Padre Luigi: “Vorrei condividere - scriveva all’Ispettore - la mia ammirazione
per lui. Recentemente negli esercizi previ alla mia professione perpetua
potei stare vicino a questo uomo di Dio
e uomo per gli altri. Gli dissi che mi allietava la maniera in cui parlava di
Gesù, del Signore. Quella passione e quell’amore con cui si esprimeva non si
cancelleranno mai dalla mia mente. Si notava che era qualcuno con cui poter condividere
intimamente, più che non solamente un amico.
Speriamo di poter seguire il suo esempio”.
Si muore come si
vive. Era così intimamente unito a Dio che possiamo pensare che abbia vissuto
la sua malattia come la croce di Cristo, in coerenza con la sua vita di
dedicazione missionaria.
Credo che si possano
applicare a questo uomo di Fede, testimone vero del Vangelo, le parole che
uscirono dalle labbra e dal cuore di Paolo: “Tutto è niente in confronto alla
conoscenza di Cristo mio Signore” (Fil 3,8).
Una vita santa,
quella di Padre Luigi, che auspicava la
ragion d’essere della stessa Congregazione Salesiana: ”Il mio unico desiderio è
che la nostra Congregazione sia santa, povera e umile” (Lettera all’Ispettore
del 6/12/2001).
2) Padre Luigi è stato un
evangelizzatore esemplare, intrepido, geniale.
Yankuam Jintia aveva un solo progetto evangelizzare. Per
questo fine si mantenne libero da grandi strutture che avrebbero potuto
assorbire energie, tempo e mezzi che erano riservati alla predicazione del
Vangelo.
Il suo progetto era
formare Chiesa e, per questo, cercò, riuscendovi, di creare le
condizioni per istituire ministeri laicali fino a Diaconato. A questo fine accettò i ritmi dello Spirito
Santo che lavora nei cuori anche se spesso con tempi molto lunghi. Ci vollero
parecchi anni di catecumenato per creare comunità cristiane attraverso i
sacramenti della iniziazione cristiana. E, dal momento che non c’è Chiesa senza
la centralità della Parola, si dedicò a tradurre in lingua Achuar il Nuovo
Testamento perché i battezzati potessero alimentarsi della Parola di Dio nella
loro stessa lingua.
Padre Luigi viveva per essere missionario. Considerava la
vocazione missionaria un dono di Dio. All’avvicinarsi dei 50 anni di vita
missionaria, scriveva all’Ispettore salesiano: ”Con Padre Siro Pellizzaro compiamo
quest’anno in Novembre, 50 anni da quando salpammo dal porto di Genova e
celebreremo il dono così generoso e gratuito del Signore di servirlo come
sacerdote e religioso, però solo nella vita missionaria “ad gentes”. (Lettera
del 26/2/2003)
Era convinto che la missione non era opera sua: “L’opera
è del Signore” scriveva in una lettera diretta all’Ispettore Salesiano il
26/10/2001. Egli si considerava un semplice lavoratore nella vigna del Signore.
Per questo si dedicava alla evangelizzazione con grande rispetto, perché “Né
colui che pianta è importante, né colui che irriga, ma solo Dio che fa crescere
(1Cor 3,7).
La certezza che l’opera era del Signore lo portava ad
avere un gran rispetto per l’uomo soprattutto per i più lontani e abbandonati.
Per questo lavorò tra gli Achuar fino a diventare uno di loro.
Portando lo zaino e il machete, saltando di tronco in
tronco, cadendo nel fango sotto la pioggia attraversando montagne e fiumi…
visitò tutte le comunità Achuar portando bontà e speranza, portando l’amore di
Cristo.
Quando guardiamo
la sua vita, sorprende il grado di acculturazione che Padre Luigi riuscì a
ottenere. Cercò di immedesimarsi nello stile di vita del popolo Achuar: i loro
abiti, le loro tradizioni, il loro cibo, le loro bevande, le loro case,
rispettando i loro usi, fino a far loro comprendere che apprezzava pienamente
la loro cultura. Aiutandoli perché loro stessi prendessero nelle loro mani il
loro futuro, tanto nel campo umano come nel campo religioso.
Lo stesso Padre Luigi racconta che nel 1971 chiese ai
Superiori che lo lasciassero andare tra gli Achuar: “ Mi chiesero quale era il
mio progetto… Risposi che il progetto si sosteneva su tre punti: a) che mi
permettessero vivere come gli indigeni: avrei accettato la loro cultura, i loro
abiti, il loro cibo, naturalmente rispettando la mia identità di religioso e
sacerdote; b) non avrei posseduto terra, la terra è loro; c) avrei contato
sulla Provvidenza senza chiedere denaro né al Vescovo né all’Ispettore”. Tre
punti molto semplici e chiari ai quali si mantenne fedele fino alla morte.
Non tutti i missionari raggiungono un grado tale di
acculturazione!
Padre Pascual Chavez, attuale Rettor Maggiore dei Salesiani,
al sapere della morte di Padre Luigi, scrisse all’Ispettore: ”…..si tratta di
uno dei missionari più grandi che ha avuto la Congregazione lungo
la sua brillante storia missionaria. Ho sempre ammirato la sua fedele
acculturazione del Vangelo, della Chiesa e del carisma di Don Bosco tra gli
Achuar. La sua grande passione per Cristo fu sempre accompagnata dalla passione
per i popoli indigeni”.
Padre Luciano Odorico, già consigliere generale per le
missioni, fu sentito dire che l’esperienza di Padre Luigi era la esperienza più
acculturata ottenuta dalla Congregazione Salesiana.
L’apprezzamento della cultura Achuar lo portò a studiare
i loro miti, le loro credenze, la loro lingua, a scrivere tre libri, un
dizionario e a preparare la grammatica Achuar.
Era realmente un Achuar tra gli Achuar e come tale lo
fecero entrare nella loro vita e nelle loro comunità.
“Uscire ad incontrare” diventò per Yankuam un modo di
essere spirituale come quello dei patriarchi e uno stile pastorale come quello
dei grandi evangelizzatori che hanno marcato la storia della Chiesa.
La sera del 6 Febbraio 2013, dopo le riflessioni proposte
dall’animatore degli Esercizi Spirituali, Padre Luigi scriveva. ”Ho appena
finito di leggere le due lettere di Paolo a Timoteo. Quanto insiste Paolo
perché la Parola
che Gesù ci ha insegnato non venga cambiata viste le molte deviazioni e falsi
insegnamenti! Il “Deposito della Fede”, dalla bocca di Cristo Gesù, attraverso i suoi Apostoli continua nella
Chiesa e vi rimarrà fino alla fine. A volte mi comporto con poca pazienza con
gli Achuar, loro, molte volte, cercano di fare i loro interessi, però se li amo
devo accettarli così come sono e devo amarli e amare e scoprire il volto di
Gesù in loro”.
Durante quegli stessi Esercizi Spirituali gli fu chiesto
di presiedere l’omelia, però la malattia glielo impedì.
Però aveva preparato e scritto alcuni appunti a questo
scopo. Voleva attualizzare il testo biblico proposto nella liturgia del giorno: ”Il popolo che viveva nelle tenebre
vide una grande luce … una luce lo
illuminò”. Si proponeva di sviluppare due punti: 1) Gesù, luce del
mondo, ha fondato la Chiesa
come Una, 2) Gesù ci ha chiamato, la
Sua luce ci ha illuminato, dobbiamo comunicarla a quelli che
non credono. E concludeva: “La dedicazione alla missione non ci permette di
restare fermi, di imborghesirci”. Nella prima redazione della omelia, Padre Luigi
diceva chiaramente: “L’apertura missionaria ha molti rischi, però per questo
scopo la nostra Congregazione è cresciuta ed evita di fermarsi e
imborghesirsi”.
Padre Yankuam era convinto che solo l’opera missionaria
avrebbe salvato la Chiesa.
In tal senso scriveva all’Ispettore Salesiano: “Credo che
l’impulso missionario sarà ciò che salverà le antiche Chiese europee come pure le nostre delle Americhe che sempre
hanno vissuto con missionari venuti da fuori”. (Lettera del 21/4/2001)
3) Padre Luigi è
stato la incarnazione più completa del salesiano missionario.
Padre Luigi veniva a Lima generalmente una volta
all’anno, in Dicembre, per gli Esercizi Spirituali. Le distanze, il lavoro,
l’età, non gli permettevano venire più spesso. Però la sua presenza era una
autentica benedizione per l’Ispettoria. Una presenza allegra che si
intensificava con i canti e gli aneddoti degli indigeni Achuar. Godeva della
presenza dei confratelli che vedeva così poche volte, si integrava
perfettamente alla Comunità e i confratelli gli davano affetto e attenzioni che
lui conservava nel suo cuore. Viveva una esperienza profonda negli Esercizi
Spirituali e la sua parola era sempre cercata e bene accolta da tutti, perché
non mancava mai una omelia o una “buona notte” cariche di profonda spiritualità
e di grande passione missionaria.
Il suo volto sorridente. Il suo stato d’animo ottimista e
allegro facevano intravedere agli occhi di tutti la sua profonda armonia
interiore, sicuramente dono di Dio, ma frutto anche delle sue lunghe ore di
preghiera che la foresta gli permetteva, della sua dedicazione alla missione e
del dominio esercitato durante tanti anni sul suo carattere esuberante.
I pilastri del carisma salesiano li aveva formati in famiglia e nell’Oratorio Salesiano
di Schio: un grande amore per Cristo, ragione di essere della sua vita, amato
come Amico e Buon Pastore; un affetto profondo per la Vergine Ausiliatrice ,
che lui invocava come “Maria Ausiliatrice di Guadalupe”, una profonda adesione
alla Chiesa che si manifestava nella fedeltà al Papa e ai Vescovi e nel
coraggio missionario e evangelizzatore.
Ebbe sempre l’apprezzamento e la fiducia di Mons. Josè
Luis Astigarraga, vescovo del Vicariato di Yurimaguas, e prima ancora di Mons.
Miguel Irizar che tanto fece perché Padre Luigi lavorasse tra gli Achuar.
La sua vita incarnò perfettamente uno degli aspetti
essenziali della Congregazione Salesiana: il lavoro tra i popoli non
evangelizzati “Che furono oggetto speciale della applicazione e passione
apostolica di Don Bosco e continuano a sollecitare e mantenere vivo il nostro
zelo” (C30). Possiamo considerare con certezza Padre Yankuam come l’immagine
del missionario salesiano (cf P.Vaclav Klement).
Per finire, come religioso egli pose Dio come priorità nella sua vita. Di Lui
parlava, però soprattutto di Lui viveva. Non si può spiegare una vita così
intensa senza la presenza di Dio nel cuore del missionario, senza il desiderio
intenso di vedere Dio. Non si può produrre così abbondanti frutti senza essere
testimoni di Dio contemplato nella Fede. Egli si dedicò anima e corpo all’opera
di Dio, però, soprattutto al Dio delle opere….
La sua fedeltà ai voti religiosi fu esemplare. Era assolutamente obbediente:
non fece mai nulla senza il consenso dei suoi Superiori, vedendo nelle loro
indicazioni la Volontà
di Dio. Povero nei fatti: abbandonò quanto era proprio della sua cultura
originaria per assumere la cultura indigena Achuar. Negli archivi ispettoriali
si conservano alcuni bilanci contenenti le entrate e le spese realizzate durante
l’anno e di cui dava conto rigorosamente. Radioso nella castità: non c’è mai
stato nulla da dire su di lui, di un suo comportamento ambiguo, di una parola a
doppio senso, di atteggiamenti affettivi poco chiari. La sua vita era realmente
centrata su Dio che conosceva per esperienza e non per sentito dire.
Adesso, nella sera della sua vita, Yankuam ha lasciato a
terra il suo pesante e vecchio zaino, ha finito di correre dietro a Cristo (cf.
Josè Arnalot) e gli è arrivato il tempo di ricevere il premio. Il suo
ultimo sospiro è stato l’ultimo amen
della sua vita e il primo Alleluia delle Nuova Vita.
Come diceva il servo di Dio don Giuseppe Quadrio,
salesiano: “Morire è socchiudere la porta di Casa e dire a Dio: sono qui, sono
arrivato”.
Il suo tramonto si è trasformato in aurora.
Che il suo ricordo ispiri il nostro amore e ci stimoli
nella fedeltà.
Una preghiera per lui è quanto di più prezioso possiamo
offrire, dal momento che “Un fiore sulla tomba marcisce, una lacrima sopra il
ricordo si evapora; una preghiera per la sua anima la riceve Dio”. (S.
Agostino)
Grazie Luigi, hai gridato il Vangelo con la tua vita e la
tua morte!
Grazie o Dio per il miracolo di questa vita meravigliosa.
Padre Luigi, Yankuam Jintia, riposa in pace.
I confratelli della Missione Amazzonica di
San Lorenzo e Kuyuntza
Lima, 6 Aprile 2013.
ALLEGATI
Testimonianza del Rettor Maggiore in uno
scritto all’Ispettore
(6 Febbraio 2013)
Caro Padre,
Ti saluto dall’aeroporto di Madrid, in viaggio verso il
Messico, dove presiederò le celebrazioni del 50° anniversario della nascita
della Ispettoria di Guadalajara.
Ti ringrazio di avermi informato della morte
dell’amatissimo Padre Lugi Bolla. Come dici si tratta di uno dei missionari più
grandi che abbia avuto la
Congregazione durante la sua brillante storia missionaria. Ho
sempre ammirato la sua acculturazione fedele del Vangelo, della Chiesa e del
carisma di Don Bosco tra gli Achuar. La sua grande passione per Cristo fu
sempre accompagnata dalla sua passione per le popolazioni indigene.
Il Signore che lo aveva preparato durante tutta la sua
vita di dedicazione generosa e senza limiti, lo ha unito in modo speciale alla
sua passione nel momento finale della sua esistenza.
Lui lo riempirà della
Luce, della Pace, della Gioia e della nuova Vita della sua Resurrezione.
Domani, nella Eucarestia che celebrerò a Guadalupe in
Messico, lo ricorderò in modo particolare al Signore a nome di tutta la Congregazione che si
sente orgogliosa di aver avuto un confratello come Padre Bolla.
Che il Signore continui dandoci salesiani missionari
della sua taglia di umanità, spiritualità, salesianità.
Con affetto, in don Bosco
P. Pascual Chavez V. SDB Rettor Maggiore
Testimonianza di Josè Arnalot in una lettera
a Padre Diego Clavijo
(7 Febbraio 2013)
Caro Padre Diego
Yatsuru Kiakua, certamente per te non è una novità, il
cristianesimo vissuto e praticato secondo il Vangelo di Gesù è una utopia e
voi, missionari di ogni tempo…, siete dei pazzi che corrono dietro a Lui… Oggi
è toccato a Yankuam appoggiare il suo vecchio e pesante zaino su questa terra….
E come Paolo può esclamare ”Signore ho corso, ho difeso e annunziato il Tuo
messaggio… ora mi rimane solo ricevere la corona della vittori”. La
testimonianza di un uomo come questo, ci lascia sconcertati, attoniti. Credenti
o no, una scossa ci pervade, nessuno è indenne al suo messaggio, incisivo,
forte, crudo, radicale… come dice Juan Bottasso..: “Oggi il mondo è un po’
migliore”. È a noi che abbiamo avuto il
privilegio di conoscerlo che tocca il dovere di continuare a testimoniarlo. Le
pagine che ho scritto di lui, senza volere, anni fa, sono oggi come l’aloe e
l’amore che vincono le mie ferite e il dolore di questa separazione. Vorrei
poter trasmettere almeno ai miei figli e a coloro che più amo, la fortuna che
ho avuto e poter gridare a tutti: ”Ho conosciuto un cristiano! Ci sono!
Esistono! Quindi un mondo migliore è possibile!”. Kiakua! Yatsuchiru,
amikchiru... Yus amijai pujusti… Coraggio! Sii forte! Lì è rimasto lo zaino per
te che lo porti già da tempo con altri missionari per la selva e per tanti
altri giovani e vecchi missionari che il Signore invierà nella sua vigna.
Yankuam cammina sicuramente a vostro lato, salta di
tronco in tronco… cade con voi una e un’altra volta nel fango e lavora di
machete e fischia un anent… Kiakua!!!
Yatsuru….amikmajmai… shiram pujutà. CHUINT
Testimonianza
del Padre Juan Bottasso
(10
Febbraio 2013)
I vecchi
missionari non muoiono, semplicemente se ne vanno.
Questo si può dire di Padre Luigi Bolla, che gli Achuar
conoscevano come Yankuam (la stella del
mattino).
Ammiratore di Charles de Foucauld aveva deciso di ispirarsi
totalmente al motto: “Gridare il Vangelo con la vita”. Non era stato facile
perché, nel suo caso specifico, si trattava di abbandonare i metodi
tradizionali e avventurarsi in un cammino sconosciuto.
Si sa che i missionari sono persone di sacrificio che
lasciano tutto per addentrarsi in territori difficili sotto tutti gli aspetti
e, una volta là, mentre evangelizzano, danno una serie di servizi a favore
della gente: salute, educazione, tecniche di coltivazione, organizzazione… Così
cominciò Padre Luigi quando, appena ordinato nel 1959, se ne andò nell’est dell’Ecuador
a lavorare tra gli Shuar.
Però ben presto gli venne un dubbio: la gente ci accetta
e molti diventano cristiani, però, sarà perché hanno capito la bellezza e le
esigenze del Vangelo o piuttosto per i servizi che gli offriamo? Non si
potrebbe provare una forma diversa di annunciare il Vangelo senza mediazioni
che possano confonderlo?
Senza entrare in polemica con nessuno, chiese
semplicemente di poter abbandonare le strutture tradizionali e di poter andare
a vivere come ospite tra gli Achuar (un sottogruppo degli Shuar) solo con il
suo zaino e il suo breviario. Avrebbe chiesto loro di poter condividere la loro
dura esistenza nella selva, correre i loro rischi, soffrire le loro
limitazioni.
Non fu facile ottenere la autorizzazione, perché i
Superiori temevano, a ragione, che si trattasse di un rischio eccessivo. Alla
fine, e, con certa reticenza, glielo permisero e così cominciò la sua avventura
che durò più di mezzo secolo: circa 20 anni in Ecuador e 30 in Perù, con lo stesso
gruppo etnico.
Solo Dio sa quanti chilometri ha camminato, calpestando
il fango della foresta, dormendo per terra, mangiando quello che gli offrivano,
condividendo i lavori indispensabili per la sopravvivenza. Gli Achuar sono
soliti alzarsi alle tre o quattro del mattino, bere la guayusa intorno al
focolare e lì conversare a lungo: narrano miti, raccontano di guerre, si
vantano delle loro avventure: Yankuam partecipava a questi momenti di
conversazione e, una volta che cominciò ad essere accettato e apprezzato,
chiese di poter intervenire e parlare della bellezza del messaggio di Gesù. Si
pose da intermediario per evitare guerre e li mise al corrente dei pericoli che
avrebbe portato il contatto con i bianchi.
Con gli anni divenne non solo una persona ammessa nel
gruppo ma anche una degna di ammirazione e di essere consultata: un vero e
proprio punto di riferimento.
Se abbiamo potuto conoscere il suo stile di vita e delle
sue attività lo dobbiamo ad un giovane catalano, Josè Arnalot, che gli fece da
compagno per tre anni e ci ha lasciato un bel diario che fu pubblicato con il
titolo: “Quello che gli Achuar mi hanno insegnato”.
E’ impossibile riassumere nello spazio di un articolo una
vita eccezionalmente ricca. Si correrebbe il rischio di inserire una serie di
superlativi e finire tessendo un panegirico. Preferisco raccontare un episodio
che fa un ritratto a tutto corpo di questo missionario fuori di serie.
Cito testualmente Josè Arnalot che fu testimone di prima
mano.
“Gli facemmo una
capanna nella radura più lontana dalla casa e totalmente circondata dalla
selva, perché potesse ritirarsi a far meditazione. I ragazzi la sistemarono per
bene, finanche con focolare e posto per sedersi. Rimanemmo d’accordo che le
donne sarebbero andate a portargli da mangiare tutti i giorni verso le due del
pomeriggio e che, al sopraggiungere della notte, sarebbe tornato per dormire
nella casa. “Succeda quel che succeda, questa settimana non ci sono per
nessuno, devo riflettere e pregare. Non
mi mandate a chiamare, voglio restare da solo per qualche giorno per fare così
esercizi spirituali”.
Però successe l’imprevedibile.
Già al primo giorno che si era allontanato lo trovarono
steso al suolo, tremante e coperto di formiche che lo avevano assalito. Erano
le due passate e l’attacco gli era venuto alle nove del mattino.
Si seppe dopo che si trattava di un attacco di febbre
malarica, però al momento nessuno lo immaginava perché la malattia non era
ancora apparsa in zona.
Gli attacchi della febbre malarica sono fortissimi e
tutti pensarono che il Padre non sarebbe sopravvissuto.
Alcuni Achuar, d’accordo alla loro mentalità che
considera le malattie sempre causate da qualcuno, cominciarono a proferire
minacce : “Se Yankuam muore, ammazzeremo un bel po’ di stregoni”.
Il povero Arnalot si disperava, aveva cercato di dargli
alcune delle medicine che aveva, senza risultato, cosicché si limitava a dargli
da bere acqua e limone. Nel frattempo si rompeva la testa pensando a chi poteva
chiedere aiuto. Portarlo a braccia fino alla missione di Taish implicava fare
varie giornate di cammino per sentieri orribili e, d’altra parte il Padre non
voleva in assoluto che si diffondesse la notizia della sua malattia. Questo
avrebbe confermato che il rischio assunto era eccessivo e che la esperienza
come tale si sarebbe data per conclusa.
Alla fine e, piano piano, la crisi fu superata. Yankuam
commentò: Quando venni tra gli Achuar sapevo benissimo che mi sarei esposto a
questo e a molto altro. Essere povero significa non avere sicurezze e, a volte,
a essere disposto ad andare ancora più in là…”.
Da quella brutta situazione erano passati 40 anni e, a 80
compiuti, Yankuam continuava sulla breccia. Camminava ancora per giorni e
giorni anche se il peso dello zaino diventava ogni giorno più pesante e le
le gambe non avevano la forza di un tempo. L’entusiasmo era comunque lo stesso e
l’ottimismo anche. I primi giorni del 2013, uscì dal profondo della foresta per
andare a Lima per gli esercizi spirituali. All’alzarsi dal letto una ischemia
cerebrale lo fece cadere e non recuperò più conoscenza. Dopo un mese quel corpo
minuto che aveva affrontato tante fatiche si arrese. Noi che gli siamo stati
vicini non dimenticheremo mai il suo eterno sorriso, la sua fede incrollabile e
la sua dedicazione alla Missione come unico obiettivo della sua vita.
Yankuam: non hai costruito opere eclatanti, non sei stato
un organizzatore; sei stato un testimone, uno di quelli che pagano con la vita
le loro scelte radicali e rendono credibile il Vangelo: Grazie Yankuam.
Juan Bottasso, sdb
Testo
che Padre Luigi Bolla diede al confratello Josè Gallego, sdb a Chosica (Perù)
“ Alcune
indicazioni perché un Gruppo Missionario inizi il suo cammino di Fede:
1 - Innamorarsi della persona di Gesù, figlio di Maria,
che vive oggi e sempre con noi
2 - Conoscere Gesù nei Vangeli, la vita degli Apostoli e
dei primi cristiani secondo gli Atti degli apostoli.
3 - Credere che la Chiesa come Comunità Cristiana è, nella sua
essenza, missionaria, il che vuol dire inviata da Gesù a coloro che non credono
e ci vivono vicino e lontano.
4 - Pregare molto anche per coloro che non pregano o non
credono.
5 - Trattare di fare
il bene materiale a quelli che ne hanno bisogno, vicini o lontani che siano.
6 – Conoscere la Chiesa ed amarla, essendo disposti a dare tutta
la nostra vita per la sua crescita.
P. Luigi Bolla
Lima-Chosica
Epifania 6/1/2013
Messaggio
di Padre Yankuam ai giovani:
“ .. adesso questa è la testimonianza che vorrei che
rimanesse: vorrei animare i giovani che hanno dubbi e dicono: provo, invece di
essere disposto a tutto… vorrei dir loro: guardate la grande allegria che Egli
vi da. E’ il Signore che vi chiama al suo servizio, la vocazione missionaria è
straordinaria, non deve morire mai sulla terra. Non deve morire mai”.
Yankuam Jintia
APACHI YANKUAM, MAKETE!
PADRE YANKUAM, GRAZIE!
Lima, Perù - marzo 2015 - L'Associazione Professionale degli
Antropologi del Perù ha reso omaggio a don Luigi Bolla inserendolo postumo
nell'albo dell'associazione per i suoi contributi etnografici, lo sviluppo
delle popolazioni indigene dell'Amazzonia peruviana e per il suo lavoro come
missionario salesiano. Don Santo Dal Ben, Ispettore dei salesiani del Perù, ha
ricevuto il premio a nome di Yánkuam, come lo chiamavano gli indigeni Achuar, a
cui dedicò oltre 50 anni del suo impegno missionario.(ANS salesiani)