Exallievo salesiano.
Esempio di morte cristiana e di fede in Dio.
Dio e' misericordioso.
BETTINZOLI
Mario
(cfr.: Silvano Gianduzzo, Exallievi Don Bosco. 120 profili biografici).
Martire della Resistenza col crocifisso e la reliquia di
don Bosco in mano.
Partigiano (1921-1944) - Nasce a Brescia il 21 novembre
1921 e viene educato in una famiglia di profonda fede cristiana. Un fratello
diventerà salesiano sacerdote e per quattordici anni sarà parroco del rione
cittadino che in seguito assumerà il nome di "Quartiere don Bosco".
Mario frequenta assiduamente l'oratorio salesiano ed è
delegato degli aspiranti di Azione Cattolica. Si prepara alla vita ottenendo il
diploma di perito industriale.
Chiamato alle armi nel dicembre 1941, frequenta il corso
allievi ufficiali a Nocera Inferiore, in provincia di Salerno, e ottiene il
grado di sottotenente di complemento dell'Arti-glieria.
Assegnato alla caserma della Cecchignola, a Roma, dopo
l'armistizio dell'8 settembre 1943 combatte contro i Tedeschi per la difesa
della capitale. Catturato, è rinchiuso nella sua stessa caserma. Accusato di
resistenza armata, è condannato a morte. Tuttavia il 15 settembre riesce a fuggire
e raggiunge, in modo avventuroso, Brescia.
Giunto nella città natale, invece di precipitarsi a casa,
passa dai Salesiani e rimane sino a tarda notte con gli amici, che erano
riuniti nel piccolo teatro dell'oratorio a preparare una recita.
Nell'ottobre 1943 si rifugia in Val Sabbia, dove organizza
la resistenza nel Bresciano assieme a Giacomo Perlasca.
Adriano Grossi - questo il suo nome di copertura
-divenuto vicecomandante del battaglione Fiamme Verdi (da lui stesso fondato) e
comandante della 3a Compagnia, si incarica principalmente di programmare e
allestire i campi di lancio.
Il 18 gennaio 1944 si reca a Brescia in compagnia del
diretto superiore Perlasca, allo scopo di fare rapporto al Comando provinciale
partigiano. Sorpresi dalla polizia federale fascista, i due sono arrestati e
consegnati alle autorità germaniche. Interrogati e torturati per tre giorni
nella Caserma "Arsenale", il 21 gennaio sono trasferiti nelle carceri
cittadine. Dopo quasi un mese di detenzione, il tribunale militare tedesco li
processa e li condanna a morte quali organizzatori di bande armate.
Entrambi scrivono una lettera d'addio. Esse entrano a fare
parte del patrimonio della Resistenza e restano tra le più pure, le più
distaccate dalla terra.
La lettera di Mario Bettinzoli, redatta il 23 febbraio
1944, è indirizzata a tutti i familiari:
« Miei carissimi genitori, fratello,
sorelle, nonna, zii, zie e cugini. Il Signore ha deciso, con i suoi
imperscrutabili disegni, che io mi staccassi da tutti voi, quando avrei potuto
essere di aiuto alla famiglia. Sia fatta la Sua Volontà. Non disperatevi,
pregate piuttosto per me affinché Lo raggiunga presto, e per voi affinché
possiate sopportare il distacco. Tutta la vita è una prova, io sono giunto alla
fine; ora ci sarà l'esame, purtroppo ho fatto poco di buono, ma almeno muoio
cristianamente e questo deve essere per voi un gran conforto. Vi chiedo scusa
se mi sono messo sulla pericolosa via che mi ha portato alla morte senza
chiedervi il consenso, ma spero mi perdonerete, come il Signore mi ha perdonato
pochi minuti fa per mezzo del suo Ministro. Domattina prima della esecuzione
della condanna farò la santa Comunione e poi...Ricordatemi ai rev. Salesiani e
ai giovani di A.C. affinché preghino per me. Ancora vi esorto a rassegnarvi
alla volontà di Dio; che il pensiero della mia morte preceduta dai Santi
Sacramenti vi sia di conforto per sempre. Immagino già le lacrime di tutti
quando leggerete questa mia; fate invece che dalle vostre labbra, anziché
singhiozzi, escano preghiere che mi daranno la salute eterna. Del resto io
dall'alto pregherò per voi.Ora, carissimi, vi saluto tutti per l'ultima volta,
vi abbraccio con affetto filiale e fraterno: questo abbraccio spirituale è
superiore alla morte e ci unisce tutti nel Signore. Pregate! Vostro per sempre,
Mario ».
Il giorno seguente, verso le 8 del mattino, Perlasca e
Bettinzoli sono fatti salire su un camion e portati a quella che oggi si chiama
Caserma "Ottaviani". Vorrebbero togliersi il cappotto per lasciarlo
ai poveri. Bettinzoli, sapendo che Perlasca era febbricitante, lo esorta a
tenerlo per non tremare di freddo e per non dare ai loro carnefici
l'impressione di avere paura di morire. I due recitano ancora una preghiera,
assistiti dal cappellano, mentre si schierano i dodici militi che compongono il
plotone di esecuzione. Bettinzoli stringe in mano una reliquia di don Bosco e un
piccolo Crocifisso. Il cappellano, dopo l'ultima assoluzione, gli chiede il
crocifisso e la reliquia che tiene stretti nelle mani: «No, dopo - risponde -e
li consegnerà alla mia famiglia».
La sentenza è eseguita mediante fucilazione, alle ore
8,27 del 24 febbraio 1944, presso la caserma del 30° Reggimento di Artiglieria
di Brescia.
Alla memoria di Mario Bettinzoli è stata conferita la medaglia
di bronzo al Valor Militare. La città di Brescia ha voluto additarne l'esempio
alle generazioni future dedicandogli la Scuola Media del quartiere in cui
risiedeva.
Anche varie squadre sportive dell'oratorio salesiano portano il suo
nome.